Per fare politica

Una volta, Nicole Minetti ebbe a dire che per far politica non serve una grande preparazione. Dal suo punto di vista, aveva ragione: se per fare politica basta partecipare a delle riunioni e votare secondo le istruzioni ricevute, quella signora era ben preparata.

Per me, fare politica significa le tre cose sotto elencate, che cerco di vedere dal punto di vista del PD e dei suoi elettori.

Avere dei valori: il manifesto dei valori del PD del 2008 non mi è mai piaciuto: troppo legato alla necessità di superare il berlusconismo, mentre un manifesto dei valori dovrebbe avere una valenza legata solo al modo di sentire delle persone. Oggi, il manifesto è anche vecchio, e va riscritto. Per riscriverlo, occorre fare un elenco dei nostri valori, spiegare come li interpretiamo, esporre cosa vogliamo fare per svilupparli. In primis, quelli più ovvi e naturali: l’Italia, gli italiani, la repubblica, la democrazia, il lavoro, la pace, la giustizia, la libertà, la legalità, l’onestà ecc. C’è molto da dire: per esempio, cosa sono, chi sono oggi gli italiani? Sono un grande popolo di persone deluse, ma sono anche giovani in cerca di opportunità, anziani in cerca di sicurezze, migranti in cerca di rifugio. E la giustizia? La giustizia italiana ha bisogno del nostro aiuto, perché dalla sua capacità di proteggere i cittadini onesti dipende la fiducia nelle istituzioni.

Avere idee: sono tante le idee proposte nel partito, ma non c’è nessuno ad ascoltarle. Il segretario diceva “un iscritto in meno per un’idea in più”: non vedo il nesso, ma accetto questa indicazione; solo che le idee non devono solo essere generate, devono essere anche ascoltate, e se non c’è nessuno ad ascoltarle, non servono a niente. Esiste un gap di ascolto che ci penalizza, perché se non vengono ascoltate le idee di tutti, si limita l’intera possibilità di iniziativa del partito. È difficile dire se questo sia dovuto a scelte precise o a scarsa sensibilità, ma certamente questo problema è sottovalutato. In questo, la maggioranza e la minoranza del partito non sono diverse, e trovo giusto quel che dice Fabrizio Barca, quando sostiene che il partito dovrebbe stare all’opposizione anche quando esprime il governo, perché solo così può agire da stimolo per l’iniziativa politica. Se la discussione è tutta centrata sul modo di sostenere il governo, il partito scompare, e rimane solo il governo.

Il terzo aspetto è quello della gestione dei sistemi complessi, ma mi sto prolungando troppo, e ne parleremo un’altra volta.

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