La mostra itinerante curata da Vittorio Sgarbi
Dopo i passaggi da Venezia, Matera, Mantova, Catania, Salò e Napoli, la mostra è ora prersente a Lucca, e lì l’ho vista. Naturalmente, parlo di quella e di quella sola, perché non so se le altre fossero uguali.
E mi chiedo: chi è il folle? Gli artisti presentati, il curatore, o il visitatore? Mi spiego per chi non l’ha vista: la mostra di Lucca dà un senso di oppressione forte e tangibile, ti pesa sulle spalle e sullo stomaco principalmente per l’uso della luce, o meglio, della non luce, visto che la luce non c’è. È tutto nero, e dall’oscurità emergono come fantasmi le opere di artisti ricoverati e di altri malati coinvolti nelle attività artistiche proposte come parte della terapia, o anche semplicemente come passatempo. Ci sono anche degli esempi folgoranti, e non si limitano ai dipinti di Antonio Ligabue, ma anche a sculture, maschere, ceramiche e semplici, ma talora bellissimi disegni dei ricoverati di Maggiano e di altri nosocomi. L’attenzione del curatore sembra tutta concentrata sul lavoro artistico degli ammalati, e cerca chiaramente di impressionare il visitatore calandolo in una atmosfera da incubo da cui quel lavoro balzi fuori. Non ho visto vero interesse del curatore per l’ammalato e per la malattia, e sembra quasi che dica che il mondo del manicomio, abolito dalla cosiddetta Legge Basaglia, aveva il pregio di stimolare l’attività artistica e che ciò va a suo merito. Se questa è la sua tesi, va respinta fermamente, e la legge 180 riaffermata e migliorata, avvicinandola quanto più possibile agli intenti dello psichiatra veneziano.