Romanzo di Andrea Camilleri
La cosa saliente è il dialogo tra il protagonista e l’autore, che ne fa un libro sul giallo, o forse addirittura un libro sulla fantasia e la narrazione. Dunque, il protagonista dei casi delittuosi, un Montalbano reale, ha narrato all’autore le sue avventure, e questi le ha tradotte in romanzi e racconti, dove ha messo il naso nelle vicende private dei suoi personaggi. Oltretutto, si direbbe che Nenè sia intenzionato a farlo anche oltre Salvo e Livia, migrando su altri protagonisti e cominciando a coinvolgerli.
Intanto, esistono due commissari: quello “reale” e quello televisivo, che sembrano in conflitto tra loro, come se quello televisivo avesse fagocitato quello vero, almeno nella mente dei Vigatesi, e forse anche di altri: il commissario vero cerca di liberarsi del suo omologo e omonimo televisivo, ma ne esce sconfitto.
Ne deriva un colloquio tra commissario e scrittore in cui lo scrittore dice abbastanza chiaramente “Guarda che sono io che decido; io determino l’andamento dell’indagine e scelgo vittime e carnefici; tu, sei sostituibile, e se non fai come dico io, allora tu non esisti”. È un’operazione intellettuale ardita, che ricorda alcune trovate soprattutto cinematografiche, con personaggi che escono dallo schermo e altri che cercano di interferire con il lavoro dello sceneggiatore, ma non avevo mai letto un libro così congegnato.
Comunque, c’è anche il giallo, nel quale Riccardino non sopravvive fino a pagina 4; il commissario Montalbano si impegna a venirne a capo, ma alla fine la sua soluzione e quella dell’autore divergeranno. Difficilmente potrà diventare una buona opera cinematografica, anche perché il principale sceneggiatore non c’è più. Magari, a cartoni animati …