Raccolta di temi di e su Ezio Bosso
Prima di tutto, devo dire che non so se ho capito bene e quanto ho capito, perché la mia cultura musicale è modesta, non sono in grado di leggere uno spartito e non saprei suonare neppure un fischietto. Per me, alcune parti di questo libro sono risultate difficili, perché quando il linguaggio si fa tecnico (le arcate sono le legature?), diventano molte le cose che non comprendo, e rimango indietro rispetto a un discorso inevitabilmente complesso. Occorre però dire che questo non è un trattato, ma uno zibaldone di scritti sparsi, interviste, presentazioni, testi di ogni genere e non mi sono sottratto al compito di ricavarne quanto era nelle mie possibilità. Ecco dunque il frutto della mia lettura e delle mie riflessioni.
EB insiste a dire di essere una persona, e non un personaggio, e ha ragione; ma finisce inevitabilmente con l’essere anche un personaggio; per la sua storia, certo, ma anche per il suo essere così diverso da tutti anche come musicista.
La sua è una filosofia che non ammette incertezze: quando affronta una partitura, il suo primo pensiero è capire il significato che essa riveste per il suo autore. Questo significa inquadrare quella partitura non solo nel suo contesto storico e culturale, ma anche negli stati d’animo, nelle condizioni sociali e personali dell’autore, nell’importanza della musica nel periodo e nell’ambiente. Segue poi l’analisi di dettaglio che include quella di ogni singola frase musicale e, al limite, di ogni singola nota e nel modo di riprodurla; è un’analisi che non si conclude mai, perché il processo di approfondimento delle partiture è infinito, e ogni volta c’è qualcosa che non era stato ancora indagato a sufficienza.
Per far questo, EB va alla ricerca della partitura più vicina alle intenzioni dell’autore, possibilmente del manoscritto o, in alternativa, delle trascrizioni più vicine all’epoca dell’autore, annotando anche eventuali cancellazioni o macchie che potrebbero nascondere qualcosa di importante. E in ultimo, occorre tener conto della variazione delle sonorità dovute alla diversità degli strumenti, da quelli dell’epoca dell’autore a quelli utilizzati dagli esecutori attuali, alla diversità dell’acustica della sala e anche alla diversità degli esecutori stessi, che devono interpretare tanto i desiderata dell’autore, quanto quelli del concertatore. Insomma, vuole che dalla sua orchestra escano i suoni più vicini possibile alle intenzioni originali dell’autore, una sfida difficilissima.
Ma ciò richiede tempo: il tempo necessario per studiare, e poi quello per provare, e ancora quello che il pubblico, ciascuna persona che compone il pubblico, deve dedicare all’ascolto, per cui EB rifugge da tutto ciò che può diventare mordi e fuggi. Rifugge soprattutto dalla logica dei tre minuti, il tempo che concesso a una canzone alla radio, quelli e non di più, perché altrimenti gli inserzionisti della pubblicità fuggono via. Non cerca una musica classica, ma una musica libera, che ogni volta rivive in modo nuovo, sempre presente, mai passato. E alla fine di questo lavoro, il suo sogno è quello di sparire, per lasciare la scena solo alla musica, al suo autore e ai musicisti che ogni volta lo seguono e la eseguono insieme, per completarla.
L’onere di questo modo di fare musica mi ha ricordato un episodio di tanti anni fa: i musicisti dell’orchestra del Maggio rientravano da Pisa a Firenze in treno a tarda ora, e il discorso cadde su Riccardo Muti: dicevano che con lui sembrava di essere tornati al conservatorio, tanto li criticava durante le prove e tanto esigeva da loro. Mi è venuto il dubbio che potesse essere così anche con EB, che però dice di aver avuto un rapporto eccellente con i musicisti di tutte le orchestre, cosa però non sempre vera, perché ci sono stati anche episodi di rigetto, che lui attribuisce più alle strutture organizzative, che ai musicisti stessi: probabilmente ha ragione. Ma la sua gratitudine non va a Muti, ma a Claudio Abbado, che EB riconosce come suo grande maestro, “la sua luce”, per il quale manifesta un’autentica venerazione, che lo ha portato a collaborare come ambasciatore con la figlia del Maestro nell’associazione che lei presiede.
Per lui, la musica è vita più che per chiunque altro, e lo si nota da molti aspetti. La musica trascende e ci fa trascendere, dice. La musica per lui è dedizione incondizionata e esigenza assoluta fin da quando, nella sua famiglia di origine, dalle modeste possibilità, sentiva dire “non ce lo possiamo permettere”, e fino a quando è diventata espressione culturale, impegno, disciplina, duro lavoro, umiltà e responsabilità di fronte a un autore da rispettare interpretandolo e a un pubblico che lo ascolta e che ha pagato il biglietto.
La musica pretende disciplina, e questa gli è stata utile quando quella lo ha aiutato a trovare tecniche per reimpostare il linguaggio: gli ha consentito, nella malattia, di essere il logopedista di sé medesimo. Detta disciplina era nata con i suoi primi approcci seri alla musica, che sono avvenuti tramite il solfeggio, nel momento in cui la sua prima insegnante non voleva che si avvicinasse allo strumento prima che avesse imparato bene la lettura e l’analisi delle partiture.
EB contesta la suddivisione della musica in generi, in una musica per ricchi e una per poveri, una per gli intelligenti e una per gli stupidi: la nostra società ha bisogno di definire, di attribuire etichette, allo scopo di semplificare gli approcci e di ghettizzare quel che esce da canoni predefiniti; si usano per questo termini come avanguardia, che nascono con la migliore delle intenzioni, ma poi diventano recinti guardati con sospetto. E contesta ancora che la musica venga ritenuta un semplice intrattenimento, invece che una espressione culturale. Nessuna meraviglia in un paese dove a livello governativo si diceva che con la cultura non si mangia. In questa società siamo tutti affetti da un deficit cognitivo, che non ha nessun riferimento alla scolarità o all’istruzione, e non siamo più persone dotate di spirito critico, ma dei tifosi che si esprimono come tali su qualsiasi argomento, anche su quelli su cui lo spirito critico sarebbe assolutamente necessario per affrontare sfide complesse. “O sono con Greta o contro Greta. Ma Greta è una ragazzina, l’oggetto della discussione non è lei, è l’ambiente!”.
Ci sono poi tutti gli aspetti legati alla malattia del maestro EB, e nel libro si parla della sua sofferenza e di come tale argomento sia arrivato, anche sulla stampa, a travalicare tutti gli altri che lo hanno riguardato. Parla di quanto male gli hanno fatto i social network, di come sia stato messo da parte, di come i suoi concerti vengano sempre considerato un evento a sé stante, fuori abbonamento, e mai inseriti nel programma di una stagione, conferendogli un’altra grande responsabilità, quella di riempire la sala, perché ne va della vita dei concerti, cioè della musica.
Alcuni spunti interessanti, o rivelatori, o semplicemente belli, in ordine sparso
- Dal suono all’ispirazione: tutto è suono, ogni cosa ha un suono, ed è lì che la musica nasce, che diventa ispirazione nel momento in cui il suono diventa emozione e poi idea, e l’idea genera le note. Per questo l’ascolto è il momento culminante per il musicista, e saper ascoltare è la sua dote principale.
- Scrivere musica è un atto d’amore: chi scrive musica lo fa per lasciarla agli altri, i quali ne possono diventare protagonisti quando imparano ad ascoltarla, e non a subirla. C’è in questo una grande saggezza, ma spesso quel che accade è completamente diverso, molto più triste e banale.
- “Agli albori del cinema, tutti, a parte forse Puccini, volevano fare il cinema”. Io trovo comunque che la musica “da film” debba moltissimo al Maestro lucchese. In tanti film della cinematografia americana, se dimentichi di guardare il film e ti limiti ad ascoltare la colonna sonora, senti distintamente come quella musica tragga da Puccini più che da ogni altro maestro del passato.
- Nell’orchestra si realizza una società ideale, dove si collabora pienamente e non c’è spazio per la competizione: tutti servono da punto d’appoggio per gli altri e i risultati si raggiungono solo insieme.
- “La musica ha il merito di essere di una purezza meritocratica assoluta, e in questo è educativa in un paese che tende a svalutare il merito a favore di concetti deviati”. Ma se è vero che nella musica, e in molte altre discipline, alla fine il bluff viene scoperto, bisogna però dire che nel frattempo mille cose accadono, e mille quaquaraquà si arricchiscono a spese degli ingenui. E non solo in musica.
- La sesta sinfonia di Čajkovskij: “Dicono che sia un testamento, ma vi assicuro che ogni composizione di chi vive la sua vita per la musica lo è”. E sarebbe bello che così fosse sempre per tutti: avere ogni volta la sensazione di non aver lasciato niente indietro, e non avere nessun rimpianto.
- “L’orchestra è fondamentale, la qualità deve essere altissima, altrimenti abbiamo perso in partenza. … E le orchestre buone vanno pagate bene, e costano, perché il lavoro e la competenza si pagano, si devono pagare. … Basta con sta pippa del gratis, solo noi musicisti gratis, l’idraulico gratis mai!” Già, la competenza va pagata, perché c’è del lavoro, lì dietro, e non si svende il lavoro, non è giusto che venga svenduto o che non venga retribuito adeguatamente.
- Comanda l’ego: è più importante dire ciò che si vuole che ascoltare l’altro. E quante volte assistiamo alla scena di quelli che dicono di essere lì per ascoltare, e invece già si preparano per il momento in cui chiuderanno le orecchie, se mai le hanno aperte, e sciorineranno la loro poesiola mandata a memoria, sempre la stessa.
- “Se non studi, il cuore non pulsa”. È l’osservazione di EB quando si dice di suonare con il cuore: “Certo, il cuore è fondamentale”, ma se a monte non ci sono lo studio e la competenza, il cuore da solo non basta, e rischia di diventare esso stesso un modo di nascondersi.
- È il modo per occupare meno spazio nelle memorie di massa, ed è il modo di privare la musica di gran parte di quanto di delicato c’è in essa. L’abitudine al suono compresso può fare gravi danni alla musica, ma d’altra parte, per la musica ascoltata in condizioni precarie, con acustica scadente, o in presenza di rumore, la differenza tra suono compresso e quello aperto diventa modesta; quindi, il problema non è la compressione, ma il modo di ascoltare la musica.
- A differenza di altre arti, la musica non è un oggetto fisico, se non la esegui, se non l’ascolti, non esiste.
- “Sentirsi amati, essere amati, è una grande responsabilità, perché genera aspettative che non possono venir deluse”.
- “Si cresce, si cresce, si cresce e poi si muore. Noi musicisti continuiamo a crescere per tutta la vita; chi si reputa arrivato direi che può cambiar mestiere”.