La tregua

Romanzo di Primo Levi del 1963

Primo Levi racconta il suo viaggio di ritorno dal lager dal momento della liberazione del campo da parte dei soldati dell’armata rossa fino al suo arrivo a Torino. Questo libro non è potente come il precedente Se questo è un uomo, ma i personaggi che lo popolano sono straordinari e descrivono una umanità tanto viva quanto variegata. Descrive la vita che i reduci di Auschwitz si trovano a fare in peripezie che durano 8 e più mesi, e che ciascuno interpreta a suo modo: quello di Primo Levi è gentile e, per quanto possibile, altruistico, ma per altri è protervo e insensibile. E tutto avviene sotto l’egida di soldati, uomini e donne, dell’armata rossa del tutto impreparati a questo compito, ma sono in compenso fedeli interpreti dell’anima russa, facile agli entusiasmi, quanto alle depressioni.

“Guerra è sempre”, dice il greco a chi gli fa notare che la guerra è finita; ma per lui la vita è tutta una guerra, nella quale bisogna combattere per sopravvivere.

“Primo Levi mi sembra una delle rare menti capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni”: così commenta Paolo Milano, e mi sembra un ritratto perfetto, e di persone così, ce ne vorrebbero tante.

Le pagine finali, dice Gian Carlo Ferretti, restituiscono “la sensazione paurosa che, ancora, gli assassini sono fra noi”. quindi, vede nel finale un pessimismo di fondo che i quasi venti anni trascorsi tra gli avvenimenti narrati e la stesura del libri non solo non hanno affievolito, ma hanno invece alimentato. Ora che di anni ne sono passati altri sessanta, possiamo dire che la visione di Levi era quella giusta.

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