Giorni della sinistra italiana

Cosa è mancato dal 1980 a oggi

14 Ottobre 1980: la cosiddetta marcia dei 40000 quadri e impiegati della FIAT è stata oggetto di libri, film e discussioni ad ogni livello, e non voglio permettermi di aggiungere la mia voce ad altre ben più autorevoli. Quel che non mi convince è la considerazione che essa abbia pesato sulle relazioni sindacali e sul futuro dell’azienda torinese e assai meno sulla sinistra politica italiana. Dicono che è incominciata lì la contrapposizione fra le tute blu e i colletti bianchi e che la FIAT si rafforzò solo in via del tutto transitoria, prima che le banche imponessero le loro soluzioni societarie che l’hanno condizionata fino all’avvento di Sergio Marchionne. In realtà, da allora la sinistra italiana ha incominciato a dividersi sul serio, non più attraverso piccoli gruppi, e con la morte di Enrico (11 Giugno 1984) è venuto a mancare il collante principale.

Cosa è successo negli anni seguenti? Alcuni, i più, hanno dato per scontato che la centralità della classe operaia fosse tramontata e che si dovesse cambiare rotta; altri, hanno proseguito con gli impegni precedenti. Le cose sono precipitate con l’avvento di Matteo Renzi alla guida del PD, in quanto è stata rifiutata a priori la possibilità di una collaborazione con l’altra anima della sinistra, per sposare le tesi della Confindustria, piuttosto che quelle della CGIL, cosa mai accaduta quando a mediare tra le anime contrapposte c’era Prodi. Ma dalle due precedenti pietre miliari (marcia dei 40000 e morte di Enrico) erano passati tre decenni, e in tale lasso di tempo erano accadute molte altre cose: il PCI aveva cambiato il suo nome e aveva subito una scissione che aveva dato luogo non solo a due partiti, ma anche a tutta una nutrita serie di movimenti, come, ad esempio, quello dei girotondi; poi, c’era stato l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi che aveva sdoganato e rivitalizzato la destra italiana; infine, la crisi della finanza mondiale del 2008 e degli anni seguenti aveva minato le basi della convivenza sociale in Italia e in altri paesi, contribuendo alla crescita di movimenti inneggianti alla democrazia diretta e destrorsi nei fatti. Se non ci vogliamo limitare ai fatti politici, allora dobbiamo parlare anche della crescita della consapevolezza dei problemi ambientali, dell’inizio delle migrazioni di massa provocate dai mutamenti climatici e dalle guerre per procura e dell’accesso sempre più diffuso alla rete come fonte di informazione (o di disinformazione). In prospettiva, lo scenario può ampliarsi fino a comprendere le conseguenze che dobbiamo attenderci dall’ingresso nel sistema produttivo, e non solo in quello, dei sistemi di intelligenza artificiale.

Ebbene, io credo che la mancata, o tardiva, comprensione della marcia del 14/10/1980 e di altri fatti accaduti in quel periodo abbia contribuito pesantemente all’incapacità della sinistra italiana di adeguarsi al mutamento dei tempi in maniera costruttiva, invece che con la divisione tra chi riteneva ormai irreversibile il trionfo del capitale e del profitto e chi sognava il ritorno al partito guida. Io mi vanto di essere sempre rimasto coerente, e forse è vero solo in parte. Indubbiamente, non sono stato tra quelli che hanno pianto quando il PCI ha cambiato nome, perché ero convinto che si trattasse della conclusione di un processo incominciato molti anni prima, addirittura nel 1961; ma non sono stato neppure tra quelli che hanno dato credito a Matteo Renzi, neppure transitoriamente, perché con Renzi il trionfo del capitalismo è apparso non solo irreversibile, ma anche immodificabile. La mia coerenza, alla fine, è questa: sempre a prendere schiaffi (virtuali, per fortuna) sia da destra, che da sinistra, dai renziani e dai leninisti. Detto per inciso, tracciare un parallelo fra Lenin e Renzi è come tracciarlo fra Dulbecco e Vannoni.

Sarebbe stato meglio se l’Unità, invece di parlare di sfilata antisindacale, avesse cominciato subito a riflettere sui mutamenti della società italiana e della sua maggiore complessità rispetto a quanto fin lì si fosse pensato, complessità cresciuta nel tempo e destinata a crescere ancora. In fin dei conti, anche quello era un modo di rifugiarsi in un passato che, sebbene conflittuale, era rassicurante, perché noto e mille volte analizzato. Rifugiarsi nel passato è sempre un modo di cercare sicurezza, anche se raramente la si trova davvero.

Oggi, la situazione annovera altre criticità, implicite in quanto accaduto negli anni recenti. Il ceto medio (insegnanti, paramedici, impiegati di tutte le categorie e anche moltissimi lavoratori autonomi) è in avanzata fase di proletarizzazione; la rabbia e il livore, già endemiche in Italia, sono diventati malattie epidemiche in molti Paesi; il desiderio di rivalsa prevale sulla solidarietà; la caccia al capro espiatorio è sempre aperta; gli errori della sinistra sono additati al pubblico ludibrio. Ma quali sono questi errori? Non basta dire che la sinistra ha sbagliato, o che la sinistra ha sbagliato tutto, occorre fare una vera diagnosi: non semplicemente additarla come colpevole, ma dire nome e cognome di ciascun suo errore. E così, si evidenzia la pochezza dei suoi avversari, che a questa domanda non cercano neppure di rispondere, ma non ci si avvia a una qualsivoglia soluzione.

Ora, devo enumerare quelli che io ritengo siano i principali errori della sinistra, che in molti casi non sono errori, ma valutazioni sbagliate. Non sono così presuntuoso da pensare di essere depositario della verità, ma un contributo posso pur darlo. Il mio elenco:

  1. La sinistra italiana non ha colto in tempo i mutamenti della composizione della società italiana, e ha continuato a sviluppare le sue politiche come se questi mutamenti non ci fossero stati.
  2. Nel periodo del berlusconismo ha indirizzato la propria azione frontalmente contro di esso, invece di promuovere azioni che sparigliassero le carte, rivelando le debolezze dell’avversario.
  3. Nella crisi della finanza non ha incalzato a sufficienza il governo della destra per evitare il deterioramento dell’economia reale e ha sottovalutato la fragilità della coesione sociale, che è crollata miseramente.
  4. La sinistra italiana non ha sviluppato le proprie politiche tenendo conto del crescente pericolo dei mutamenti climatici e sottovalutando le loro conseguenze sugli assetti dell’economia e della società globale.
  5. Di fronte alla nascita di fenomeni di migrazioni di massa non ha saputo individuare i mezzi per governare detti fenomeni, oscillando fra estremi opposti, fino ad aprire la strada alla situazione presente.
  6. Non ha individuato in tempo un proprio ruolo nei nuovi mezzi di comunicazione di massa, prima facendosi sorprendere dalla nascita di emittenti radio e televisive commerciali e poi ripetendo lo stesso errore di sottovalutazione nei confronti della rete.

La sinistra italiana, in una parola, si è cullata nell’illusione di dover governare uno statu quo destinato a durare ancora, quando invece nuovi assetti si prospettavano di giorno in giorno. Eppure, non era neanche un errore nuovo: mi ricordo bene che anche Enrico, nel 1976, si fece cogliere impreparato dalle nuove armi atomiche americane, convinto che l’equilibrio del terrore avrebbe ancora avuto lunga vita senza variazioni di rilievo.

Arrivati a questo punto, viene la cosa più difficile, il Mortirolo della politica di sinistra: che fare? Come reagire per recuperare il tempo perduto e il favore di vaste masse popolari che ci hanno voltato le spalle? Di tre cose, abbiamo già detto (post del 26 Aprile scorso, a titolo Quel che dobbiamo fare): riconquistare l’egemonia culturale; risollevare l’Italia dal baratro morale in cui è caduta; combattere i mutamenti climatici. Abbiamo anche esplicitato cosa occorre fare per perseguire detti obiettivi, ma si tratta di azioni che richiedono tempi lunghi, che possono dare buoni risultati tra 10÷15 anni, non prima. Sugli altri passati errori della sinistra italiana, possiamo cercare di fare qualcosa di più immediatamente utile, e allo stesso tempo capace di incidere sugli equilibri politici che si vanno consolidando (si fa per dire, perché nel panorama politico italiano, di solido non c’è proprio niente).

Allora, proviamo a buttare giù qualcosa di concreto che si possa tradurre in proposte legislative:

Sostegno ai soggetti deboli:

  1. Sostenere il reddito: promuovere il sostegno al lavoratore e rinunciare al mantenimento dei posti di lavoro obsoleti
  2. Salvaguardare la salute: mantenere e rafforzare il sistema sanitario pubblico abbandonando l’idea di una sua sostenibilità intrinseca e valorizzando tutte le risorse esistenti
  3. Non morire sul lavoro: rafforzare i sistemi di sicurezza del lavoro attraverso la formazione e i controlli da parte di enti qualificati

Migrazioni di massa:

  1. Regolare l’accesso: Istituire una “carta tricolore” analoga, negli scopi, alla carta verde americana, assegnandone un numero adeguato ai paesi con i quali sia possibile pervenire a accordi bilaterali di governo del flusso migratorio
  2. Promuovere l’integrazione: per gli immigrati residenti, attuare percorsi d’ingresso attraverso la mediazione culturale

Mezzi di comunicazione di massa:

  1. Disciplina della rete: partecipare alla preparazione e alla promulgazione di regole per la tassazione e la disciplina delle multinazionali della rete
  2. Monitoraggio della rete: dotarsi di idonee regole, figure e apparecchiature per prevenire l’uso della rete da parte della criminalità organizzata, del terrorismo e di ogni altro tipo di malintenzionati
  3. Costruire un polo pubblico di servizi WEB

Forse, su alcune di queste iniziative sono già in corso azioni adatte, e magari migliori di queste: se così fosse, ne sarei lietissimo, ma io non le conosco.

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