Contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra
“Non smetto di credere alla sinistra, perché temo per il futuro della vita democratica e dell’Europa, perché penso che l’idea di un soggetto politico aperto del campo democratico sia più che mai necessaria”.
Sono le conclusioni di Veltroni, nel suo articolo odierno per Repubblica, e io mi sento di condividerlo. Ma poi, si riapre il discorso: che fare? Rientrare nel PD? Arduo, perché dominato comunque dai renziani, visto che quasi tutti gli altri lo hanno abbandonato. Cercare qualcun altro a sinistra? Non piace neanche a Veltroni, che parla di “una nuova sinistra”, aperta, e perciò non settaria. Dice anche che occorre uscire dal presentismo che domina il nostro tempo, ma dimentica che bisogna stare ben attenti a non lasciare ad altri il presente, perché domani potrebbe essere tardi. Una volta si diceva, e forse l’avrai sentito dire, “pensare globalmente e agire localmente”: ebbene, ora diventa necessario pensare al futuro, ma agire subito. Avere un pensiero di ampio respiro, che tenga conto di quanto sta cambiando nella società, ma anche agire subito, prima che sia tardi. Vediamo i tre lemmi fondamentali di Veltroni:
- O la sinistra definirà una proposta in grado di assicurare sicurezza sociale nel tempo della precarietà degli umani o sparirà.
- O la sinistra la smetterà di rimpiangere un passato che non tornerà e si preoccuperà di portare in questo tempo i suoi valori o sparirà.
- O la sinistra immaginerà nuove forme di partecipazione popolare alla decisione pubblica, una nuova stagione della diffusione della democrazia, o prevarranno i modelli autoritari.
Per me, significa immaginare una società che si basi sull’imprenditorialità individuale, ma con regole tali da impedire che i lupi divorino gli agnelli. Rimpiangere la grande industria nel tempo dell’intelligenza artificiale significa non aver capito, non capire cosa bolle in pentola. Qui da noi, in Italia, stentiamo ancora con la terza rivoluzione industriale, quella dei controlli automatici (la prima è quella delle macchine cominciata in Inghilterra a metà del 18° secolo; la seconda quella della produzione in serie inaugurata in USA a metà del 19°, ma esplosa nel 20°), mentre gli altri sono già alla quarta, quella della digitalizzazione, e si presenta prepotentemente la quinta, quella appunto dell’intelligenza artificiale. Dove ci possano portare le tecnologie nel prossimo futuro, non è dato di sapere, quel che è certo è che la realtà socio-economica non starà ad aspettare, e questo evidenzia l’urgenza dell’agire subito in difesa delle libertà individuali. Non è detto che in futuro non ti lascino vivere, ma se davvero dovesse accadere che con l’intelligenza artificiale si produrrà ricchezza senza, o con pochissimo, apporto umano, e moltissimi si trovassero a campare grazie a un reddito di cittadinanza, e non grazie al proprio lavoro, si vivrebbe in una società di merda.
La società immaginata non è facile da definire, e ancora più difficile è fissarne le regole, necessariamente diverse dalle attuali, basate su un antitrust che non potrebbe più bastare, e sarebbe comunque necessaria un’ampia condivisione di valori, che difficilmente può essere ottenuta con delle regole, mentre occorrerebbe agire molto più in profondità, con mezzi che non so neppure immaginare, ma partendo comunque dalla scuola. Certamente è un progetto che ha bisogno di partire da nuove speculazioni filosofiche, che veda ai vertici gli studiosi dell’animo umano, e mi viene da pensare da un lato al Tiziano Terzani di Un indovino mi disse (“Raramente l’umanità è stata, come in questi tempi, priva di figure portanti, di personaggi luce…”), dall’altro a Isaac Asimov, e alla psico-storiografia di cui narra nel ciclo della Fondazione, a cominciare da Cronache dalla Galassia. Ma questo riguarda pensare al futuro, mentre per l’azione immediata, credo che anche in questo si debba evitare scrupolosamente di inseguire la destra e puntare invece su azioni nuove e indipendenti. Vogliamo provare a fare qualche esempio?
- Fare proposte controcorrente su questioni aperte (es: ristrutturare pesantemente l’ILVA di Taranto, spegnendo gli altiforni; ricostruire il ponte Morandi al servizio della città e del porto, indipendentemente dall’autostrada a12; estendere la rete dell’alta velocità ferroviaria a tutte le principali direttrici; ecc)
- Fare proposte concrete su questioni estranee all’attualità politica (es: digitalizzare subito i porti italiani per rimodulare il trasporto interno via mare; mettere in rete tutta la sanità e tutta la giustizia;
- Fare proposte sui cavalli di battaglia altrui (es: estensione del reddito di inclusione; fare grandi programmi di manutenzione non solo sulle grandi infrastrutture, ma anche su scuole, ospedali e carceri; inaugurare la stagione della manutenzione organizzativa, rinunciando alle grandi riforme; ecc).
E anche poi per le forme organizzative di una nuova sinistra, ci sarebbe tanto da dire, perché se è vero, come è vero, che all’inizio lo spontaneismo è bello e efficace, è anche vero che poi bisogna darci una quadratura, che altrimenti diventa tutto un casino. Questo lo si può fare con grande semplicità, molto più di quanto si creda: l’importante è non dare mai niente come definitivo e non stancarsi mai di ritoccare quanto fatto fin lì, senza mai stravolgerlo. Chi dice “da oggi si fa così” va gentilmente accompagnato alla porta.
Ma allora, da cosa si riparte? Dai circoli? Dalle parrocchie? Io ho già visto che non sono la persona giusta, ma forse sarebbe meglio ripartire dai quartieri, dai paesi, dalle esigenze piccole e grandi delle piccole e grandi comunità di persone, per non correre il rischio di lasciarle ad altri, come è già successo, incominciando ognuno nel suo orticello, ma dando la priorità a quelli che più hanno ragione ad essere arrabbiati, quelle aree interne che hanno perduto i vecchi riferimenti senza poterli sostituire con altri. Sono queste le nuove forme di partecipazione e rappresentanza, ma sono anche le più vecchie, se ci si pensa bene. Come dire che non si inventa nulla, semmai si riscopre, ma in modo nuovo e senza nostalgie.