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Due parole sul nucleare civile, per informare e per dire la mia

Sta ripartendo il dibattito sul nucleare civile, per l’accelerazione che il governo e l’Enel stanno dando a questo nuovo ciclo in Italia. Inoltre, questo dibattito sta invadendo anche la campagna elettorale per le Regionali, una cosa impensabile solo poche settimane fa. Io mi occupo di energia da quasi 30 anni, prima all’Eni e poi all’Enel, ho visitato varie centrali nucleari e sto ora lavorando al progetto di completamento della centrale di Mochovce, in Slovacchia.
Sulla base di questa esperienza, non ho difficoltà a vedere che le idee che circolano sono molto imprecise, e non consentono di discutere in modo pacato e proficuo, ammesso che lo si voglia. Cercherò pertanto di fornire delle informazioni di base, utili per non farsi vendere, dai sostenitori del nucleare civile come dai suoi detrattori, indicazioni inesatte e fuorvianti. Lo farò chiamando sempre ili nucleare civile con il suo nome completo, perché quello militare va cancellato dalla nostra vita e dal nostro futuro. Le fonti utilizzate per la compilazione di queste note sono tutte disponibili, e, per correttezza nei confronti della azienda per cui lavoro, ho evitato di utilizzare informazioni acquisite all’Enel. Mi sono quindi limitato a raccogliere e mettere in correlazione informazioni disperse. Queste note contengono anche la mia personale opinione e le mie personali conclusioni: il lettore è libero di non tenerne conto e di limitarsi alle informazioni.

Contenuto:

1. Premessa
2. Riconquistare la fiducia
3. Quale nucleare civile?
4. Su cosa stiamo lavorando
5. Le rinnovabili
6. Conclusioni

1. PREMESSA

1.1 Ho sempre fatto il mio lavoro in campo energetico con attenzione agli aspetti ambientali, anche quando la legislazione italiana sulla materia era ancora in fase di sviluppo. Però, mi è sempre accaduto che, presentandomi sul lavoro come persona sensibile ai valori ecologici, certuni mi ascoltassero con diffidenza, come se fossi un nemico dell’azienda. D’altra parte, se mi presento come tecnico dove si parla di ambiente o di politica, non manca mai chi mi ascolta con altrettanta diffidenza, come se lavorare da tecnico significasse aver messo da parte lo spirito critico ed avere sposato una causa aziendale. Non ho mai fatto mistero delle mie simpatie per la sinistra riformista, come non ho mai nascosto di lavorare come tecnico e di averne la mentalità. Il risultato di ciò è stato spesso l’incomprensione sia dal lato dei compagni di partito, sia dal lato dell’azienda, senza volere con questo vantare meriti che non ho e senza pretendere di essere sempre riuscito a sfuggire ai condizionamenti.

1.2 La mia posizione nei confronti della politica, come quella nei confronti dell’azienda, si è aggiustata col passare degli anni, pur nella coerenza, come credo e spero. Oggi mi scopro capace di scelte più radicali di quelle del passato, perché il lavoro svolto fin qui mi dice che obiettivi aziendali e obiettivi ambientali sono perseguibili senza rinunciare a niente, purché le nostre azioni siano guidate da rigore e trasparenza. Radicalismo, tuttavia, non vuol dire estremismo, ma solo fuga dal compromesso.

1.3 Ma torniamo alla sensazione di distanza, perché quella situazione di sospetto di colleghi e compagni mi ha insegnato qualcosa, ed anche il così detto referendum sul nucleare civile mi ha insegnato qualcosa. Ricordate il referendum del 1987? Poneva 5 quesiti, di cui due sulla responsabilità dei giudici e tre sul nucleare civile. Si parlava di abrogare la norma che consentiva al CIPE di individuare i siti senza consultare gli enti locali, di non consentire all’ENEL di monetizzare la presenza di impianti sul territorio e di non consentire all’ENEL di partecipare a progetti all’estero. Questi ultimi due sono superati dal fatto che l’ENEL è ora una società privata quotata in borsa, mentre sul primo mi sembra che la querelle si stia riaprendo, tanto da diventare argomento centrale della campagna elettorale.

1.4 Come molti altri tecnici, ho vissuto quel referendum come un’onta personale. Era come se mi dicessero: si, va bene, magari sei anche bravo, ma se vuoi che io mi fidi di te, devi usare solo tecnologie che io, profano, sono in grado di capire; quindi, niente nuovo nucleare civile, niente carbone pulito, niente diavolerie: solo metano! Di quello, sì, che mi fido, perché io, che sono ignorante come una capra, capisco solo quello.

1.5 Diffidenza e delusione hanno infatti un ben preciso momento di nascita in quel referendum sul nucleare civile, tenutosi in contemporanea con il referendum sulla giustizia, ma con una precisa differenza nell’atteggiamento della sinistra politica sui due argomenti: ricordo bene i dibattiti che si tenevano sulla giustizia, ed ai quali venivano invitati i magistrati per dire loro: “guardate che il referendum non è contro di voi, che godete della nostra piena fiducia”. Non ricordo, invece, analoghe premure nei confronti di chi si occupava di energia. Da quella situazione è uscita la formula sopra citata, poi disinvoltamente applicata in tante occasioni e situazioni: di te, tecnico, non mi fido.

1.6 Da questa assenza dei tecnici derivano la convinzione sbagliata che l’impiego delle fonti rinnovabili sia dietro l’angolo; l’idea secondo cui è auspicabile ampliare l’uso energetico del metano, che è invece l’insostituibile base della chimica fine, e l’unico combustibile utilizzabile in impianti domestici con livelli accettabili di emissioni; l’equivoco dell’idrogeno, contrabbandato come risorsa energetica, mentre invece è solo un veicolo d’energia, né più né meno dell’elettricità, e come essa ha bisogno di essere prodotto spendendo per questo altra energia, tanto che Rifkin parla di economia dell’idrogeno, e non di energia da idrogeno, cosa ben diversa.

1.7 Oggi riconfermo il mio pensiero di allora sull’impiego civile dell’energia nucleare, le cose che avrei detto volentieri all’epoca del referendum: una centrale nucleare fatta come dico io, gestita come dico io e con tutte le possibilità di controllo dall’esterno, la vorrei accanto a casa mia.

1.8 La stessa idea mi anima su tante altre grandi realizzazioni che comportano tecnologie avanzate: i rigasificatori del gas naturale liquido, le nuove ferrovie, le nuove centrali a carbone, le linee ad alta tensione, i ripetitori delle telecomunicazione, gli inceneritori e mille altre cose. Il discrimine sta nella qualità delle realizzazioni, che devono essere ben fatte, ben gestite e accessibili al controllo. Controlli che, a loro volta, devono essere fatti con competenza e onestà. Chi può farlo e garantirlo? Vediamo.

2. RICONQUISTARE LA FIDUCIA

2.1 Bisogna sempre evitare di confondere la qualità di un progetto con la qualità della sua realizzazione, e ricordare che per avere opere ben fatte occorrono entrambe queste qualità. Non si tratta solo di fare dei progetti validi e aggiornati al meglio della tecnologia, ma anche di curarne la realizzazione da parte di costruttori e appaltatori che, dovendo evidentemente curare i loro interessi, cercheranno sempre di risparmiare ovunque ciò sia possibile. La normale dialettica fra chi compra e chi vende funziona egregiamente a due condizioni, le solite, competenza ed onestà, ma richiede anche una ulteriore condizione che il committente deve curare e mettere in atto: destinare risorse idonee, in quantità e qualità, al controllo di quanto viene costruito.

2.2 Nel caso delle opere pubbliche, temo che questo sia uno dei punti più dolenti. Quante volte ci siamo detti, vedendo una pavimentazione stradale: ma chi ha accettato un’opera realizzata così male? Ebbene, potrebbe non essere colpa del collaudatore o comunque della persona designata all’accettazione: se nessuno ha seguito le opere mentre queste venivano costruite, ben poco si può fare a lavoro terminato, e i difetti, anche quelli non rilevabili all’atto del collaudo, non tardano ad evidenziarsi.

2.3 Questo è un punto molto importante, anche dal punto di vista del consenso, perché le logiche a cui rispondono i rifiuti delle popolazioni ad ospitare sul proprio territorio le nuove installazioni si basano sulla sfiducia nella qualità delle realizzazioni e sulla inaccessibilità ai controlli. Poi, su questa sfiducia, si appoggiano motivazioni ideologiche e di altro genere, che magari sono quelle che emergono di più, ma ciò accadrebbe assai più difficilmente, e con minore appoggio popolare, se non esistesse una ricca casistica di opere che non hanno funzionato come avrebbero dovuto. Purtroppo, anche al di là dei casi più gravi (il Vajont rimane il più tragico), si potrebbe fare un lungo elenco di aspettative tradite, dovute a quanti (imprese, stato, enti locali) hanno anteposto altre priorità ai comportamenti corretti e virtuosi, ed oggi, l’unico fulcro concreto su cui possa appoggiarsi una azione di recupero della fiducia è quello di lavorare meglio, con maggiore trasparenza, ed aprire ai controlli.

2.4 L’esperienza dice che l’introduzione degli aspetti ambientali in un progetto va fatta all’inizio, e che è talvolta assai difficile far diventare ecocompatibile un progetto nato diversamente. All’Enel, questo avviene puntualmente da oltre 10 anni, altrove non so. Se è vero, come dicono, che il fattore amianto non è stato considerato nel progetto della Lione-Torino, ciò è grave, ma può essere recuperato: in tutta Europa si fanno gallerie in presenza di rocce contenenti amianto; basta saperlo prima, e prendere i necessari provvedimenti contrattuali e organizzativi, quali quello di dotarsi delle attrezzature per l’analisi delle rocce, degli specialisti in grado di eseguire le analisi e quello di fissare criteri giustamente rigorosi per la messa a discarica dei materiali di scavo. Se così non è stato per la Lione-Torino, fanno bene i cittadini a pretendere maggiori cautele, per riportare il progetto nell’ambito delle opere ben fatte. Naturalmente, occorre anche verificare quotidianamente che i comportamenti reali siano rispettosi di quanto stabilito in sede progettuale e organizzativa: occorre, cioè, che la gestione sia la logica conseguenza di quanto già deciso, e che non segua strade proprie e diverse.

2.5 Per ottenere questo, occorrono controlli, che sono non solo quelli degli enti preposti, ma anche quelli fatti dagli specialisti del committente. Ricordo bene quello che accadeva a me e ai miei ragazzi in centrale, a Porto Corsini, nel contraddittorio con le ditte che vincevano gli appalti di installazione o manutenzione: ci accusavano di avere atteggiamenti persecutori nei loro confronti, mentre invece non facevamo altro che applicare quanto stabilito dal contratto. Evidentemente, con altri committenti, erano abituati a farla da padroni senza che nessuno obiettasse alcunché. Questo, invece, è il primo e uno dei più importati dei livelli di controllo, quello fatto dal committente stesso, chiedendo e ottenendo il rispetto integrale di quanto stabilito dai contratti, dai capitolati, dalle specifiche e da tutti gli altri documenti tecnici e organizzativi, senza deroghe e modifiche, se non quelle motivate da cause di forza maggiore o dalla volontà di elevare il livello qualitativo del progetto.

2.6 Per l’efficacia dei controlli esterni, non è facile, di fronte alle mutazioni tecnologiche, mantenere un adeguato livello negli operatori degli enti di controllo (le USL, l’ISPESL, il Genio Civile, i Vigili del Fuoco, le Capitanerie di Porto, la Guardia di Finanza ecc.), anche perché questi posti di lavoro, per i giovani diplomati e laureati, non sono più fra quelli maggiormente appetibili. Una volta, ai concorsi degli enti si presentavano buoni ingegneri, e venivano assunti i migliori tra essi. Questi ingegneri maturavano, e col tempo diventavano vere autorità. Oggi, in molte parti d’Italia, quelle stesse occupazioni sono diventate di transito, giusto per fare esperienza e poi lanciarsi sul mercato delle aziende private, le quali invece, con l’arma del denaro, assumono professionisti già formati. Anche all’Enel sta incominciando ad accadere così: i giovani più brillanti vengono, ma poi se ne vanno, oppure lasciano le strutture tecniche per fare carriera nel management. Se si vuole invertire questa tendenza, non rimane che usare oculatamente la stessa arma che usano i privati: garantire le carriere ai meritevoli e rispondere alle offerte delle aziende private con delle contro offerte, con l’obiettivo di un necessario ritorno all’antico, quando gli ingegneri delle Ferrovie e del Genio Civile erano costantemente più bravi di quelli che si trovano dall’altra parte del tavolo, nel lavoro di controllo e sorveglianza, e non capitava mai che gli specialisti degli enti fossero in posizione debole rispetto a quelli di fornitori e appaltatori.

2.7 Impianti ben condotti: qui gioca la riduzione del personale per la conduzione. E anche qui occorrono risorse idonee, in quantità e qualità. Negli anni appena trascorsi, ha dettato legge una generazione di carrieristi che sono andati avanti come tagliatori di teste, e che si sono serviti in maniera spregiudicata del prepensionamento dei lavoratori. Questo ha provocato una fuoriuscita di lavoratori qualificati dalla conduzione degli impianti, e questa fuoriuscita è stata governata solo dal numero degli “esuberi”, senza tenere debitamente conto della eventualità di trovarsi, poi, con il personale di conduzione qualitativamente impoverito. Purtroppo, su questo aspetto, l’intervento è lungo e difficile, perché non basta prelevare dalle università e dagli istituti tecnici i laureati migliori ed i migliori periti: occorre anche dare loro tutto il tempo necessario per maturare le competenze che occorrono per essere in grado di prendere le decisioni giuste nei tempi rapidissimi che la conduzione d’impianto impone.

2.8 Si capisce tuttavia che scuola e università sono il punto di partenza ineludibile di qualsiasi attività che richieda lavoro qualificato, ma, per favore, non lasciamoci fuorviare da slogan: non ce lo possiamo permettere. La scuola che meglio risponde alle esigenze non è né la scuola pubblica, né quella privata, ma semplicemente una scuola di qualità, che faccia bene il suo lavoro (quello di insegnare), senza riguardo alla sua struttura societaria e organizzativa. Tutto quello che dobbiamo garantire è la qualità della scuola: una scuola in grado di produrre e di utilizzare innovazione con gli stessi ritmi vertiginosi con cui lo fa la società, in grado di preparare i nostri ragazzi a lavorare nei settori più avanzati della cultura, della scienza e della tecnica. Occorre quindi che si metta la scuola pubblica in grado di produrre qualità (le risorse culturali e umane ci sono già, basta saperle liberare, evitando di falcidiarle) e che chiediamo alle altre scuole di adeguarsi. Dopo di ciò, le scuole pubbliche e private che dimostreranno di saper fare quanto loro richiesto avranno i contributi dello stato, le altre scompariranno e le rimpiangeranno solo i coccodrilli.

2.9 Sono queste le cose che servono, anche per il nucleare civile: controllo accurato e competente del progetto e della sua realizzazione; conduzione competente e attenta; accesso per controlli esterni da parte di enti qualificati; per investire bene i soldi dei cittadini e riguadagnarsi la loro fiducia. Ma le stesse cose sono necessarie anche per opere assai più semplici: opere di assetto urbano, fognature, acquedotti e molte altre che costituiscono il lavoro ordinario di Comuni e Province. Le risorse spese per i controlli non costituiscono spreco di denaro pubblico; semmai, è vero il contrario: il vero spreco è accettare come ben fatte delle opere che non lo sono.

3. QUALE NUCLEARE CIVILE?

3.1 Premessa

3.1.1 Venendo al dettaglio dei progetti nucleari, non si tratta solo di distinguere fra reattori a fissione e reattori a fusione nucleare, ma anche di distinguere tra le diverse generazioni di reattori a fissione, così come i nostri pronipoti, fra molti anni, distingueranno probabilmente le diverse generazioni dei reattori a fusione. La prima generazione di reattori fu quella dei primi reattori sperimentali, che è durata dalla nascita dell’era nucleare fino agli anni ’60. Gli obiettivi erano in primo luogo di carattere conoscitivo, ma c’era anche un legame strettissimo con il nucleare militare, tanto che ci furono anche reattori la cui funzione di produzione di energia era secondaria rispetto alla produzione di materiale fissile per ordigni nucleari. La seconda generazione non interruppe questo legame, ma la produzione di energia venne in primo piano, crebbero le taglie di potenza e si iniziò a progettare tenendo conto delle possibili conseguenze di incidenti. La terza generazione, l’attuale, ha ulteriormente allentato i legami con il nucleare militare, ha incrementato ancora le potenze, ha inserito le conseguenze degli incidenti più gravi, con fusione del nocciolo, tra i criteri di progettazione e ha inserito dei sistemi di sicurezza passivi, basati su fenomeni fisici semplici.

3.1.2 Mentre i generatori delle prime tre generazioni sono degli sviluppi successivi di progetti rimasti invariati e migliorati sulla base dell’esperienza, i reattori della quarta generazione sono dei progetti totalmente nuovi, pensati con l’obiettivo di migliorare la sicurezza, ridurre la produzione di scorie nucleari, permettere uno sfruttamento del combustibile nucleare molto più efficiente, permettere l’impiego di combustibili nucleari diversi dall’uranio arricchito, tagliare il cordone ombelicale con il nucleare militare e diminuire i costi di costruzione e di esercizio. Purtroppo, pur essendo da decenni allo studio, non ha ancora dato luogo ad impianti utilizzabili diffusamente in sicurezza. Taluni ritengono che questi reattori saranno disponibili commercialmente fra alcune decine di anni (2030-2040), altri che saranno disponibili già nel 2020.

3.2 I reattori passati e presenti

Sono tutti reattori termici, cioè con neutroni rallentati da un moderatore, che può essere acqua o grafite, per permettere il mantenimento della reazione a catena con una limitata percentuale di materiale fissile nel combustibile. Ne facciamo un rapido excursus.

3.2.1 Reattore moderato a grafite e refrigerato a anidride carbonica (GCR): è il primo reattore civile di “grande” potenza, sviluppato con tecnologia inglese utilizzata anche in Italia nella centrale di Latina. Ce ne sono ancora di attivi, ma non si presta per le potenze commerciali attuali.

3.2.2 Reattore moderato a grafite e refrigerato ad acqua leggera. È il famigerato RBMK di tecnologia russa, tendenzialmente instabile, perché la reazione nucleare si incrementa al salire della temperatura e del titolo del vapore, ancora in attività in tre Paesi: Russia, Ucraina e Lituania.

3.2.3 Reattore moderato e raffreddato ad acqua leggera bifase (ad acqua bollente, BWR): sviluppato dalla General Electric, ha avuto vaste applicazioni. In Italia è stato usato a Garigliano e Caorso, e lo sarebbe stato a Montalto di Castro. Lo stesso fluido che raffredda il reattore va a espandersi in turbina, e richiede perciò di estendere la zona controllata di sicurezza nucleare all’intera isola produttiva della centrale, perché il vapore è debolmente radioattivo. Ne esiste una versione aggiornata, di terza generazione, denominata ABWR.

3.2.4 Reattore moderato e raffreddato ad acqua leggera a doppio circuito di raffreddamento (ad acqua pressurizzata, PWR): sviluppato principalmente dalla Westinghouse, e parallelamente in Francia e Giappone, è attualmente la filiera più diffusa. Utilizzato in Italia a Trino Vercellese, era stato scelto per il progetto unificato nucleare, ma non è mai incominciata la costruzione. Il doppio circuito di raffreddamento consente di limitare l’area controllata al solo edificio reattore, perché il vapore non è radioattivo. Esiste anche la versione “orientale” VVER, con diverse valutazioni sui criteri di sicurezza rispetto alla versione occidentale. Gli sviluppi di terza generazione sono il reattore EPR, scelto per il futuro sviluppo del nucleare civile in Europa, Italia compresa, e il reattore AP1000 Westinghouse, di cui esiste anche la versione APR1400, sviluppato da un consorzio coreano sulla base del reattore Westinghouse.

3.2.5 Reattore moderato e raffreddato ad acqua pesante (CANDU): sviluppato in Canada, ha avuto scarsa diffusione. Permette l’impiego di uranio naturale. Ci sono pareri discordanti sulle caratteristiche di stabilità: chi lo ha utilizzato dice che è facile da condurre come una caldaia Cornovaglia; i detrattori dicono che è potenzialmente instabile. In Europa c’è un solo impianto con due reattori, in Romania. Esiste anche in versione di terza generazione, limitatamente al Paese d’origine.

3.3 La quarta generazione di reattori a fissione

Si suddividono tra reattori termici avanzati e reattori veloci. La differenza sta nella dinamica neutronica: nei reattori termici, i neutroni vengono rallentati da un moderatore (acqua o grafite), mentre nei reattori veloci, i neutroni non sono rallentati, ed è perciò necessaria una maggiore percentuale di materiale fissile nel combustibile. Peraltro, il reattore veloce produce esso stesso materiale fissile tramite il bombardamento neutronico dell’uranio fertile, cosa che, in maniera più limitata, avviene anche nel CANDU e nei reattori termici di quarta generazione. Un elenco minimo di reattori proposti come quarta generazione è quello che segue.

3.3.1 Reattore termico ad acqua supercritica (SCWR): utilizza acqua leggera in condizioni supercritiche come fluido di lavoro; opererebbero quindi con un ciclo diretto, simile a quello dei reattori ad acqua bollente BWR, ma in una unica fase, come nel reattore ad acqua pressurizzata, per la produzione di energia elettrica con elevato rendimento.

3.3.2 Reattore termico ad altissima temperatura (VHTR): utilizza un nocciolo con grafite come moderatore e un ciclo di utilizzo dell’uranio a singolo passaggio. Le alte temperature consentono applicazioni industriali come la produzione di calore di processo, oppure la produzione d’idrogeno.

3.3.3 Reattore termico refrigerato a sali fusi (MSR): consiste in un reattore in cui il combustibile è un sale mantenuto oltre la propria temperatura di fusione e fluisce entro un nocciolo di grafite, oppure con l’impiego di combustibile disperso in una matrice di grafite, con il sale fuso che opera da refrigerante, assicurando il raffreddamento a bassa pressione e alte temperature. Sono stati proposti molti progetti per questo tipo di reattore, ma sono stati costruiti pochi prototipi.

3.3.4 Reattore veloce refrigerato a gas (GFR): reattore nucleare a neutroni veloci con ciclo del combustibile nucleare chiuso per la trasmutazione dell’uranio fertile. Il reattore è raffreddato ad elio, con una temperatura di uscita pari a 850 °C, che viene impiegato come fluido termodinamico per muovere direttamente una turbina a gas in un ciclo Brayton per la produzione di energia elettrica.

3.3.5 Reattore veloce refrigerato a sodio (SFR): reattore nucleare a neutroni veloci con ciclo del combustibile nucleare chiuso per la trasmutazione dell’uranio fertile. È simile al Superphenix francese degli anni ’80, che non era un progetto maturo, e non dette buona prova di sé. Il reattore è raffreddato da un metallo leggero (sodio), che genera vapore in scambiatori simili a quelli di un reattore ad acqua pressurizzata.

3.3.6 Reattore veloce refrigerato a piombo (LFR): reattore nucleare a neutroni veloci con ciclo del combustibile nucleare chiuso per la trasmutazione dell’uranio fertile. È suddiviso in elementi a lunga vita, fabbricati in serie per la produzione di elettricità. Il nocciolo viene refrigerato a convezione naturale con una temperatura del vapore di circa 550 C°, che potrebbe arrivare fino a 800 C° con un veicolo diverso dal vapore. La temperatura più elevata consente la produzione dell’idrogeno, utilizzabile in celle a combustibile.

3.3.7 Poi, ci sarebbe il reattore subcritico, anche se non fa parte del gruppo della 4a generazione: si tratta di un reattore con una massa di combustibile inferiore a quella necessaria a mantenere autonomamente la reazione a catena e che perciò necessita una fonte esterna di neutroni. Tipicamente la fonte esterna è un acceleratore di particelle, per cui si parla di ADS (Accelerator Driven System). È ancora da dimostrare che possa avere un bilancio energetico positivo, cioè che produca più energia di quella che si consuma per azionare l’acceleratore di particelle.

3.3.8 Insomma, una gran confusione tra reattori termici, con acqua o grafite come moderatore, reattori veloci e altro ancora; una gran confusione tra reattori votati alla produzione di energia elettrica ed altri previsti per la produzione di calore di processo. Il fatto stesso che non si sia ancora scelta una filiera, e che la ricerca proceda in modo apparentemente incoerente fa considerare ottimistiche la previsioni menzionate: nella migliore delle ipotesi, nel 2020 si potrà incominciare la progettazione esecutiva, con la prospettiva di un utilizzo dopo 2030. Ma questo sarà possibile solo se si concentreranno le ricerche su un progetto condiviso su cui far convergere le risorse, e questo, si capisce, è un limite molto severo. Allo stato delle cose, è difficile pensare che il contributo efficace ed efficiente dei reattori di quarta generazione ai problemi energetici possa concretizzarsi prima della metà di questo secolo.

3.3.9 Le prospettive dei reattori di quarta generazione sono tuttavia tali che è improponibile rinunciare alla ricerca. L’efficienza nello sfruttamento del combustibile e la riduzione dei quantitativi di scorie e la loro vita media sono elementi fondamentali per estendere nel futuro la possibilità di impiego dell’energia da fissione. Peraltro, non si può pensare a saltare la terza generazione, perché i reattori veloci richiedono gli attinidi ricavati dalle scorie dei reattori attuali, senza le quali, per avviare i reattori di quarta generazione, sarebbe necessario un combustibile ricchissimo in uranio fissile, possibile solo con un processo molto spinto di arricchimento, costoso e pericoloso per il legame con le tecnologie militari. In sostanza, almeno inizialmente, i reattori di quarta generazione non potrebbero fare a meno di quelli di terza generazione.

3.4 La fusione nucleare

3.4.1 Per quanto riguarda la fusione, sembra opportuno fare riferimento al progetto ITER, dato che è oggi l’unico grande progetto di ricerca internazionale sull’argomento. C’è anche un progetto italiano, IGNITOR, ma dato che l’Italia ha aderito a ITER, e considerando in quali condizioni versa la ricerca in Italia, è difficile pensare che possa avere seguito. Nello specifico, ITER è un reattore deuterio-trizio. Verrà costruito a Cadarache, nel Sud della Francia da un consorzio di Unione Europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India e Corea del Sud. Il costo previsto è di 10 G€.

3.4.2 Il reattore a fusione ITER è una sperimentazione che deve fornire indicazioni sulla fisica del plasma che permettano di ottenere una reazione di fusione stabile. Inoltre in ITER verranno testate alcune soluzioni tecnologiche necessarie per la futura centrale elettrica a fusione. ITER viene pensato per produrre energia in quantità almeno 10 volte superiore a quella necessaria per innescare il processo di fusione e sostenerlo: il superamento della soglia del bilancio energetico della fusione è un obiettivo primario, finora mai raggiunto, propedeutico a un uso della fusione per la produzione di energia per uso civile.

3.4.3 Ebbene, il direttore del CERN, che dirige il progetto, dice che le condizioni in cui opera ITER consentono di affermare che, una volta terminate le fasi di costruzione (verso il 2020) e di sperimentazione (2030/40), saremo in grado di controllare i processi fisici e di progettare un prototipo industriale. Non sarà ancora un prototipo di filiera, ma, in definitiva, dopo il 2030 dovremmo essere in grado di utilizzare l’energia da fusione. L’obiettivo è di costruire per il 2050 una macchina capace di generare elettricità, e a questo punto sarà possibile studiarne l’esercizio e quindi avanzare ipotesi che ne migliorino le condizioni economiche al punto da rendere competitive le macchine delle generazioni successive.

3.4.4 Si capisce che per la fusione siamo ancora agli albori, e il reattore che sarà costruito a Caradache sta all’impiego commerciale delle centrali a fusione come il reattore di Enrico Fermi del 1942 sta ai reattori di seconda generazione, con una differenza fondamentale: i passaggi successivi dei reattori a fissione sono stati dettati da criteri di prudenza basati su basse temperature e basse pressioni, ma per la fusione questo non sarà possibile. Una volta risolti i problemi teorici, e realizzata una reazione stabile e controllabile, si dovranno possedere anche le tecnologie necessarie per lavorare a temperature che oggi appaiono insostenibili, e che conducono a sistemi di generazione dell’energia che esistono solo sulla carta. In definitiva, sembra di poter dire che la fusione nucleare risolverà i problemi energetici del 22° secolo, non quelli del 21°.

4. SU COSA STIAMO LAVORANDO

4.1 Mochovce

4.1.1 La centrale di Mochovce si trova in Slovacchia, vicino alla città di Nitra. La costruzione fu iniziata negli anni ’80, utilizzando la filiera VVER (ad acqua pressurizzata) nella taglia di 450 MW per ciascuno dei quattro reattori previsti. Per i problemi di instabilità politica e finanziaria dell’Est europeo in generale e della Cecoslovacchia in particolare, la costruzione fu interrotta nel 1988, con le opere civili quasi complete e la maggior parte delle apparecchiature già consegnate e depositate a magazzino. Un primo tentativo di ripresa, nel 1991, fallì. Dopo la separazione della Slovacchia dalla Repubblica Ceca, avvenuta il 01/01/93, nel 1996 fu ripresa la costruzione delle unità 1 e 2, che nel 2000 furono avviate con successo. Nel Febbraio 2005, Enel acquisì il 66% della società Slovenske Elektrarne, proprietaria dell’impianto, e diede luogo ad un progetto per il completamento delle unità 3 e 4, con l’obiettivo di concluderlo nel 2012.

4.1.2 Esiste un esteso dissenso nei confronti di questa centrale, particolarmente forte in Ungheria e Austria, meno in Slovacchia. In Ungheria c’è anche un forte dissenso sulle centrali idroelettriche slovacche sul Danubio. Un documento di Greenpeace del 2007 individua una nutrita serie di problemi di sicurezza da risolvere, e testimonia di elevata attenzione e competenza. Tra i maggiori problemi citati, ce ne sono otto classificati come “Highly safety relevant”, ad alto interesse per la sicurezza: qualifica dei componenti; controlli non distruttivi; possibilità di intasamento del sistema di raffreddamento di sicurezza; affidabilità del sistema di acqua alimento; condensatore a gorgogliamento dell’edificio reattore; prevenzione antincendio; rischio di rottura tubazioni ad alta energia; rischio sismico. Nessuno di questi problemi viene presentato come insolubile, si danno anzi interessanti suggerimenti sul modo di affrontarli. Il documento, redatto in ceco, è disponibile tradotto in inglese con il titolo “Safety Issues for Mochovce 3&4 nuclear units”, sul sito di Greenpeace.

4.1.3 Greenpeace Italia parla in modo meno organico e omogeneo, in quanto nei documenti in italiano si mescolano analisi simili a quella citata con dichiarazioni contro il nucleare civile in quanto tale. Sembra quasi che questa organizzazione ecologista abbia una doppia anima. Nei più recenti documenti si rileva comunque che due dei problemi indicati (rischio sismico e controlli non distruttivi) sono avviati a completa soluzione, ed altri cinque vengono affrontati con una certa efficacia. Resta solo, insoluto, quello del condensatore a gorgogliamento, che serve a condensare nell’edificio reattore il vapore che si formasse a seguito della rottura di una tubazione del fluido primario. Gli impianti occidentali fanno uso di un altro tipo di condensatore, giudicato più efficace.

4.2 EPR

4.2.1 Dice il costruttore AREVA che i reattori PWR sono impianti estremamente sicuri e non proliferanti. Aggiunge che la progettazione, i materiali da costruzione e i sistemi del reattore EPR garantiscono una sicurezza ancora maggiore. EPR utilizza un sistema di strumentazione e controllo che consente il ritorno alle normali operazioni, al fine di evitare l’arresto di emergenza. Comprende quattro sotto sistemi di sicurezza, ciascuno in grado di svolgere l’intera funzione di sicurezza per conto proprio. Ogni sistema di sicurezza è fisicamente separato dagli altri e due di essi sono resistenti all’impatto di un aereo. Essi sono situati in diverse parti dell’impianto e hanno le loro proprie protezioni. Questo supera il rischio di avaria simultanea di tutti i sistemi di sicurezza a causa di eventi interni o esterni, come l’incendio o l’incidente aereo. Ciò permette di ridurre la probabilità di un grave incidente (6*10–7 per anno-impianto, contro 1*10-5 dei reattori BWR). Inoltre, EPR è stato progettato in modo tale che, in caso di incidente, il contenimento sarebbe in grado di resistere anche alle pressioni e temperature provocate dalla fusione del nocciolo: i materiali fuoriusciti dal reattore sarebbe raccolti, conservati e raffreddati in una zona appositamente progettata all’interno dell’edificio di contenimento.

4.2.2 Dice ancora AREVA che l’edificio di contenimento che ospita il reattore è particolarmente sicuro: la parte superiore è costituita da due pareti tra loro separate, una interna in calcestruzzo armato con un rivestimento in acciaio, mentre l’altra è un guscio esterno in cemento armato, che protegge le pareti interne e le strutture da impatto diretto e dalle vibrazioni che ne derivano. Il tutto protegge l’edificio del reattore, quello del combustibile esaurito, due dei quattro edifici dei sistemi d’emergenza e la sala di controllo principale. Gli altri due sistemi d’emergenza e gli edifici dei generatori diesel sono geograficamente separati, in modo che non possano essere interessati dallo stesso evento. Per sopportare terremoti gravi, l’intera isola nucleare si trova su di un basamento unico in cemento armato e l’altezza degli edifici è stata ridotta al minimo.

4.2.3 Per tornare alla differenza tra un buon progetto e una buona realizzazione, preso atto di quanto affermato dal costruttore, si deve però ricordare quanto sta accadendo nei siti di costruzione dei primi reattori di questo tipo. La costruzione della centrale di Olkiluoto 3, in Finlandia, è iniziata nel mese di agosto 2005. L’inizio del servizio era inizialmente previsto per il 2009, e doveva essere il primo reattore EPR ad essere costruito e messo in servizio. Le stime dei costi iniziali erano di 3,7 G€. Il progetto ha subito molti ritardi, e l’entrata in servizio è ora prevista nello stesso anno, il 2012, del secondo impianto. Ritardi di costruzione di circa un anno sono dovuti alla mancanza di controllo dei subappaltatori, privi di esperienza nella costruzione nucleare. Inoltre, AREVA, preoccupata per il peggioramento dei risultati finanziari, accusa l’approccio finlandese per l’approvazione della documentazione tecnica e dei disegni. Nel 2007 l’autorità finlandese per la sicurezza nucleare ha trovato un certo numero di non conformità nei sistemi. Ancora nel 2007 un altro ritardo è stato provocato da problemi di costruzione delle protezioni del reattore contro un incidente aereo. Un ulteriore ritardo è stato annunciato nel 2008, e a Maggio 2009 l’impianto era in ritardo di almeno tre anni e mezzo e di quasi il 50% oltre il budget (5,3 G€).

4.2.4 Flamanville 3 sarà la terza unità sul sito e il secondo EPR costruito. La prima gettata di calcestruzzo è stata fatta il 6 dicembre 2007. Per il progetto, EdF ha stanziato 3,3 G€, e il programma prevede: dibattito pubblico nazionale dal 19 Ottobre 2005 al 18 Febbraio 2006; decisione di costruzione da parte del CdA EDF il 4 Maggio 2006; inizio della preparazione del sito nell’estate 2006; inizio della costruzione nel dicembre 2007; durata della costruzione 54 mesi; messa in servizio dell’impianto nel 2012. Nel Maggio 2009, dopo 18 mesi di costruzione e una serie di problemi di controllo di qualità, è emerso che il progetto è fuori budget di oltre il 20% e sta lottando per mantenere i tempi programmati. In particolare, nel 2008 l’agenzia francese per la sicurezza nucleare ASN ha riferito che un quarto delle saldature ispezionate su una linea non sono state trovate conformi alle norme, e che sono state trovate delle discontinuità nella base di cemento; EDF ha affermato che si stanno compiendo progressi su queste questioni sollevate precocemente, ma a Maggio 2008 ASN ha ordinato la sospensione delle costruzioni in cemento, che sono state riprese un mese più tardi. Bisogna anche dire che, fatto nuovo in Francia, esiste un movimento contrario a questa costruzione (Sortir du nucléaire) e che sono state inscenate  manifestazioni che hanno bloccato gli ingressi al cantiere.

4.2.5 Riassumendo in poche parole, i problemi che vengono attribuiti ai reattori EPR dai loro detrattori:

  • Il costo: nato per costare 3,5 G€, sappiamo ormai che il costo è superiore, e se ci sono importanti problemi di adattamento al sito prescelto, può superare i 6 G€.
  • L’acqua: l’elevata potenza e il rendimento modesto, tipico di ogni impianto nucleare di questa e delle precedenti generazioni, determinano una grande quantità di calore da smaltire al condensatore del ciclo a vapore. Se si impiega un condensatore ad acqua, e si vuole contenere il salto di temperatura in termini accettabili, la portata necessaria è di quasi 100 m3/s, e questo condiziona la scelta del sito in modo evidente: occorre essere in riva al mare, o su fiumi che garantiscono grandi portate in ogni mese dell’anno. Se invece si vogliono usare torri di raffreddamento, queste dovranno essere molto grandi.
  • La rete elettrica: le centrali nucleari hanno sempre una doppia possibilità di evacuare la potenza generata, cioè due linee elettriche, ciascuna delle quali in grado di asportare tutta l’energia prodotta. Inoltre, con gruppi di generazione così potenti, il fuori servizio diventa molto severo, e per non correre il rischio di black-out, è necessario mantenere in rete una quota elevata di riserva rotante, cioè di unità di generazione che funzionano a carico ridotto, e quindi con costi superiori.
  • Il plutonio: anche se AREVA afferma il contrario, non tutti sono convinti della caratteristiche antiproliferanti di EPR, e affermano invece che questo reattore produce quantità non trascurabili di plutonio, che attualmente serve solo al nucleare militare, mentre il suo uso nel nucleare civile sarà possibile solo con i reattori della prossima generazione.

4.2.6 Le alternative a EPR esistono e sono essenzialmente due: il reattore ABWR della General Electric, che nasce dagli sviluppi del BWR, e il reattore AP1000, di Westighouse, che deriva dal PWR. Per quest’ultimo esiste anche l’ulteriore sviluppo del reattore APR1400, costruito da un consorzio della Corea del Sud e recentemente venduto agli Emirati Arabi, per costruire quattro centrali. I due reattori di tecnologia Westinghouse sembrano aver superato le caratteristiche proliferanti del precedente PWR, mentre il BWR non è mai stato un efficiente produttore di plutonio.

4.3 Le strutture organizzative e industriali

4.3.1 Gli aspetti organizzativi sono fondamentali in qualunque grande progetto, ma lo sono ancora di più in un progetto nucleare, perché tutto deve essere sotto controllo e niente deve seguire strade che non siano quelle stabilite. L’organizzazione è soprattutto quella che deve soprintendere alla garanzia della qualità e alla sicurezza, e in Italia, al momento, non esiste ancora una agenzia per la sicurezza nucleare, e si dovrà crearla, e prima di crearla dovranno essere decisi i criteri per la sua formazione. Inoltre, come già detto, è essenziale che il committente possegga una propria efficace struttura di controllo, per la verifica continua delle costruzioni e dell’esercizio degli impianti.

4.3.2 Questa struttura esisteva venticinque anni fa, ed era formata da personale preparatissimo: c’erano persone che da dieci e più anni si stavano preparando per lavorare nel campo del nucleare civile, ma dopo l’abbandono dei progetti nucleari italiani, queste persone hanno seguito altri destini: nel 1983, nella centrale di Caorso, lavoravano molti ingegneri destinati a Montalto di Castro, e ricordo tra essi persone di altissimo livello, che hanno poi fatto brillanti carriere in altri campi. Ora quella struttura di prim’ordine deve essere ricreata, e non sarà un lavoro breve, né facile, e per ricrearla, non basta l’università, occorre anche un banco di prova quotidiano.

4.3.3 Anche il mondo dell’impresa era molto avanti, specialmente all’inizio dell’era del nucleare civile. La SIP, la SADE, la Edison, la Romana e anche altre società elettriche avevano proprie strutture e propri progetti, e pure attive erano l’Ansaldo, la Tosi, la Marelli e molte altre. Oggi, gran parte di queste imprese non esistono più, o sono pesantemente ridimensionate, e non appaiono intenzionate a fare grandi investimenti sul futuro. Quando si dice che il nuovo corso del nucleare civile è una grande occasione per l’industria nazionale, ciò va inteso non come fonte di guadagno, ma come occasione di investimento, per tornare ad essere in futuro quello che si è stati in passato e che ora non si è più.

4.4 Cos’altro? Scorie, sicurezza, convenienza

4.4.1 Le scorie nucleari si dividono in varie categorie, in base al tempo di decadimento e alla loro attività. Inoltre, possono essere immagazzinate tal quali, o dopo riciclo dei materiali recuperabili. Per le scorie a bassa attività, che sono quelle più abbondanti, e che sono costituite da materiali eterogenei venuti comunque a contatto con qualcosa che li ha contaminati, il problema è completamente diverso da quello che comporta il combustibile irraggiato, che, se non viene riprocessato, rimane pericoloso per un periodo molto lungo. Tuttavia, il volume del combustibile irraggiato è minimo, e l’Italia non avrà bisogno di spazi superiori ad alcune migliaia di m3 . Le dimensioni totali nette dei siti di stoccaggio potrebbero essere quelle di due sili da 15 m di diametro, con una altezza di 30. Le altre scorie sono costituite da componenti dismessi, materiale coibente demolito, residui di sabbiatura, attrezzature usate in area contaminata, ed hanno un grado di pericolosità analogo o inferiore a quello dei rifiuti nucleari cosiddetti istituzionali, cioè quelli prodotti da ospedali, università, centri di ricerca e industrie. Ci sono anzi dei rifiuti industriali e ospedalieri che hanno pericolosità paragonabile a quella del combustibile irraggiato, come gli isotopi impiegati per le gammagrafie e per le terapie radianti. Per i rifiuti a bassa attività, la stima fatta per l’Italia è di 105 m3 , cioè la superficie di un campo di calcio per una altezza inferiore a 15 m. Tale volume potrebbe essere inferiore se non fosse che le centrali nucleari italiane sono state tutte chiuse nello stesso periodo, senza che sia mai stato individuato un sito per il deposito dei rifiuti, e quindi abbiamo ancora in carico, in attesa di smaltimento, i rifiuti derivanti dal decommissioning di tutte le strutture nucleari già esistenti in Italia.

4.4.2 Nei decenni passati si è detto che i reattori della quarta generazione avrebbero avuto tra le loro caratteristiche fondamentali quella di basare le proprie caratteristiche di sicurezza su principi fisici naturali che non avrebbero richiesto energia, e che quindi si sarebbero attivati autonomamente, senza bisogno di comando dall’esterno e senza che il sistema potesse fallire l’intervento per mancanza di energia. Questa caratteristica è già presente nei reattori di terza generazione, che pertanto hanno già acquisito questa caratteristica di sicurezza prevista per la generazione successiva. Basandosi banalmente sulla dilatazione termica dei corpi, all’aumentare della temperatura oltre una soglia stabilita, scatta l’inserimento delle barre di controllo, che avviene per gravità. Le barre assorbono i neutroni e la reazione a catena si interrompe.

4.4.3 Sul fatto che il nucleare civile sia un affare per molti, c’è da opinare. Chi lavora nel nucleare civile deve essere qualificato per farlo, e ci si deve augurare che la futura agenzia italiana per la sicurezza nucleare non faccia deroghe. Quindi, l’affare della costruzione sarà un affare per pochi, ed è bene che sia così, sempre che siano quelli giusti. Inoltre, negli investimenti nucleari, che sono imponenti, devono essere tenuti in dovuta considerazione alcuni costi che possono assumere proporzioni importanti: se si arriva in ritardo con i programmi, ci sono gravi ripercussioni sui costi finanziari; se la costruzione presenta difetti, occorre demolire e rifare; i costi di decommissioning devono essere spalmati su un lungo periodo di esercizio, e vanno trattati come una forma di ammortamento.

4.4.4 Detto questo, per la convenienza il confronto più logico è quello con le fonti fossili, mentre a quelle rinnovabili sarà meglio dedicare un capitolo apposito. Con il petrolio a 60 $ al barile già in questo momento di stagnazione economica e presumibilmente destinato a salire, e con i prezzi del gas e del carbone legati a tale prezzo, il costo dell’energia da fonti fossili si prospetta nei prossimi anni altissimo. Tuttavia non si deve dimenticare che la struttura dei costi è completamente diversa: mentre con l’olio combustibile il 70% del costo dell’energia è rappresentato dal combustibile, nel caso del nucleare civile tale percentuale si mantiene al di sotto del 10%. Quindi, mentre un aumento del prezzo dell’uranio comporterebbe un modesto aumento del costo dell’energia, un aumento dei prezzi petroliferi si rifletterebbe in modo drammatico sulla bilancia energetica. Viceversa, mentre una centrale a metano può essere costruita con 700 €/kW, per una nucleare ne possono occorrere 4000, e certamente mai meno di 2000. Forse, la domanda migliore non è sulla convenienza, ma piuttosto se possiamo permetterci gli investimenti necessari.

4.5 Nucleare civile nell’avvenire italiano

4.5.1 L’avvenire dell’Italia dipende molto dalla capacità di lavoro nel campo delle alte tecnologie, da interpretare da protagonisti, e non da comprimari. Le risorse intellettuali non mancano, e si tratta solo di dare loro la possibilità di dispiegarsi. L’innovazione non va subita, perché se si riesce a esserne protagonisti e promotori, l’innovazione è fonte di lavoro, mentre se si subisce l’innovazione degli altri, ne possono derivare solo disoccupazione e povertà. Per questo io credo che l’Italia abbia bisogno anche del nucleare civile per risalire la china dell’arretratezza in cui sta cadendo. Per creare una classe dirigente dotata di cultura tecnica non bastano buone università, occorrono anche banchi di prova quotidiani in prima linea.

4.5.2 E quanto nucleare civile serve, in Italia? Non saranno certo i tre o quattro reattori italiani a risolvere il problema dell’emissione di gas serra, anche se non sarebbe sbagliato partecipare anche noi ad uno sforzo che dovrebbe coinvolgere tutti. Ma lo scopo può essere un altro: quello di rilanciare un settore che abbiamo trascurato per  oltre vent’anni, per non farsi trovare impreparati ai tempi che ci aspettano.

5. LE RINNOVABILI

5.1 Il solare

5.1.1 Lo sfruttamento dell’energia solare ai fini della produzione di energia elettrica può avvenire in due modi: con celle fotovoltaiche e con impianti termodinamici. Questi sistemi non vanno confusi con i pannelli solari ordinari, che utilizzano l’energia solare per la produzione di calore a bassa temperatura per il riscaldamento, tramite pompe di calore elioassistite, o per la produzione di acqua calda sanitaria.

5.1.2 Il solare termodinamico, che è sempre di tipo a concentrazione, si avvale di specchi che concentrano la luce solare su un sistema di captazione variamente conformato che genera vapore in modo diretto, oppure in modo indiretto, veicolando il calore a mezzo di sistemi a sali fusi. Questi sistemi sono in fase sperimentale, ma, che se ne sappia, nessuno si aspetta di risolvere i problemi energetici per questa strada.

5.1.3 Il solare fotovoltaico si avvale invece di celle fotovoltaiche, dette anch’esse , forse impropriamente, pannelli solari, che trasformano direttamente la luce solare in energia elettrica. Dato che la producibilità varia con la luce, e quindi dipende dal ciclo giorno/notte e dalle condizioni atmosferiche, l’impianto deve comprendere un sistema di accumulo per mezzo di batterie, nelle quali l’energia viene conservata in forma di energia chimica. Dato poi che la tensione generata e immagazzinata è una tensione continua, mentre per l’utilizzo serve una tensione alternata, occorre anche un sistema di inverter per la trasformazione in alternata e un trasformatore per l’elevazione della tensione ai valori necessari per l’uso (bassa o media tensione) o per il trasporto a distanza (alta tensione). A questo schema corrisponde il più elementare impianto fotovoltaico, che può complicarsi qualora si vogliano utilizzare sistemi a concentrazione o si voglia partecipare alla regolazione della frequenza/potenza in una rete elettrica.

5.1.4 Un impiego alternativo del solare fotovoltaico è quello su cui si basa l’economia dell’idrogeno proposta da Rifkin. In tale impiego, l’energia elettrica prodotta con il solare fotovoltaico viene utilizzata per produrre idrogeno con mezzi elettrochimici. In questo caso, l’idrogeno stesso è accumulabile in serbatoi criogenici. L’idrogeno può poi essere trasportato allo stato liquido e utilizzato per produrre energia quale combustibile di impianti a ciclo combinato e di cogenerazione. Questo schema consente di utilizzare il prodotto del solare fotovoltaico a grande distanza dalla locazione delle celle ed in prossimità dell’utilizzo finale. Naturalmente richiede due impianti: quello solare per produrre idrogeno, e quello convenzionale dove l’idrogeno viene utilizzato per produrre elettricità e calore.

5.1.5 Inoltre, secondo Rifkin, esiste oggi la possibilità di evitare il declino dal punto di vista energetico, prendendo spunto da internet. Nel web, tutti gli individui sono sullo stesso piano, e tutti hanno la possibilità di diventare produttori e consumatori dei contenuti informatici. La soluzione propugnata da Rifkin ai problemi del settore energetico consiste nel creare una grande rete di interconnessione mondiale dove tutti gli utenti nelle proprie abitazioni sono produttori ed utilizzatori di energia pulita, fornitori di energia per gli altri e produttori allo stesso momento per se stessi. Questo scenario ci salverebbe dal declino e rappresenterebbe una grande rivoluzione che coinvolgerebbe tutti, ridistribuendo potere e ricchezza su scala globale, risolvendo gran parte dei problemi anche ambientali del mondo attuale.

5.1.6 Anche i ricercatori dell’Enel affermano che la generazione distribuita rinnovabile, su migliaia di punti di generazione ed accumulo, renderà più facile la gestione dell’intera rete elettrica, che così potrà bilanciarsi meglio, evitando i problemi del massiccio uso di rinnovabili su una infrastruttura progettata, da oltre un secolo, sulla produzione costante da grandi centrali elettriche. Nei punti di generazione, l’energia elettrica potrebbe essere accumulata con semplici batterie agli ioni di litio, anche quelle di auto elettriche o ibride, senza ricorrere alla produzione di idrogeno o a costose batterie a combustibile.

5.1.7 Purtroppo, in Italia ci sono ancora numerosi ostacoli all’allacciamento di nuovi punti di produzione alla rete, sia di carattere normativo, sia di carattere tecnico. Quelli di carattere normativo derivano dal fatto che alla privatizzazione non ha corrisposto una liberalizzazione, e questo principalmente per il timore di essere invasi, più di quanto non sia già, da grandi gestori esteri, primi fra tutti EDF ed E.ON. I principali ostacoli tecnici riguardano le modalità di allacciamento, che richiedono un doppio interruttore, di gruppo e di linea, dei quali uno gestito dall’esercente dell’impianto di produzione, ed uno gestito dall’esercente della rete elettrica. All’estero, queste limitazioni sono più blande: i risultati tecnici non sono gli stessi, ma non si ha notizia di gravi inconvenienti. Da notare che questa caratteristica si applica in Italia a tutti gli impianti di produzione, di qualsiasi natura, ma risulta proporzionalmente più oneroso per i piccoli impianti.

5.1.8 Niente grandi centrali fotovoltaiche, quindi, che sarebbero molto invadenti, a causa delle vaste aree necessarie, ma un dubbio: attualmente un impianto fotovoltaico costa quasi 7000 €/kW, cioè circa il doppio, a parità di potenza, di un impianto nucleare. Gli investimenti necessari, insomma, sono molto elevati, anche se una riduzione di questi costi appare possibile, almeno nel medio periodo. E un altro dubbio: tutte le forme di energia degradano infine in calore; la captazione su vasta scala, concentrata o distribuita che sia, di energia solare per mezzo di celle fotovoltaiche o con qualsiasi altro mezzo potrebbe dare luogo ad una sostanziale riduzione dell’albedo della Terra, cioè la sua capacità di riflettere energia verso lo spazio. Quale sarebbe, quindi, il nuovo bilancio energetico del Pianeta? Si andrebbe ad un suo raffreddamento, dovuto alla riduzione della concentrazione di gas serra, o ad un suo riscaldamento, a causa della riduzione dell’albedo?

5.2 Piccolo e grande idroelettrico

5.2.1 L’energia idroelettrica è stata per alcuni decenni la forma più importante di produzione di elettricità, nel nostro Paese, come in molti altri. Per alcuni lo è ancora, ed anche le grandi costruzioni sono in fase di sviluppo, nel caso in cui esistano grandi risorse idroelettriche ancora inutilizzate, come in Brasile. In altri casi si arriva persino ad avere una utilizzazione marginale dell’energia termoelettrica, ed un affiancamento molto efficace di fonti rinnovabili e nucleare civile: sono i casi di Svizzera e Norvegia.

5.2.2 Nel nostro Paese, la costruzione di grandi impianti idroelettrici è ferma da molti anni, perché le risorse inutilizzate sono scarsissime e il loro impiego comporterebbe costruzioni di impatto inaccettabile, come quelle che darebbero luogo all’allagamento della bellissima Val di Genova, nel Trentino, o quelle per la deviazione dell’Adige nel Po, le cui conseguenze sul clima locale sono difficilmente prevedibili.

5.2.3 Gli interventi in impianti idroelettrici che possono oggi essere pensati nel nostro Paese sono di due tipi: aggiornamento delle vecchie centrali e costruzione di piccoli impianti di produzione. La prima di queste possibilità viene regolarmente perseguita dai loro gestori, dato che le grandi centrali idroelettriche furono costruite in massima parte quando costituivano l’ossatura della produzione, e venivano progettate come impianti di base. Oggi che l’energia idroelettrica, che ha grandi possibilità di rapida regolazione, viene impiegata per coprire le punte di carico, è possibile incrementare la potenza e ridurne il numero di ore annue di impiego, purché ci siano invasi di regolazione sufficientemente grandi. Cresce, quindi, la potenza, ma non l’energia producibile su base annua.

5.2.4 Per la seconda possibilità, i nuovi impianti di piccole dimensioni, vale quanto detto per la produzione solare distribuita: creando una grande rete di interconnessione, molti piccoli produttori potrebbero essere allacciati e diventare produttori ed utilizzatori di energia pulita.

5.3 L’energia eolica

5.3.1 Sulla scarsa diffusione dello sfruttamento dell’energia del vento in Italia pesano altri due importanti fattori: la posizione geografica, che non è in alcun campo di grandi correnti costanti di vento, e i vincoli paesaggistici. Tralascio il secondo fattore, che non è di mia competenza.

5.3.2 L’Italia è un Paese poco ventoso ed è soprattutto un territorio con venti variabili e capricciosi, scarsamente utilizzabili. In simili condizioni, è necessario progettare gli impianti per lo sfruttamento dei venti deboli, e di conseguenza, quando i venti si fanno forti, non resta altro da fare che mettere le pale in posizione neutra, e rinunciare alla produzione, per non rischiare di veder collassare le strutture degli aeromotori. La progettazione per i venti più forti comporterebbe, oltre a costi assai più ingenti, anche una più limitata utilizzabilità nel corso dell’anno, rendendo l’investimento scarsamente remunerativo.

5.3.3 Quale che sia il motivo della scarsa diffusione dello sfruttamento dell’energia del vento in Italia, la conseguenza è che quando si viaggia all’estero (Austria, Spagna ecc.) si rimane stupiti a vedere quanto quei paesi siano più avanti di noi nell’utilizzo dell’energia del vento, sia come grandi campi eolici costruiti dai grandi gestori, sia come piccoli impianti, costruiti da aziende piccole e medie allacciate alla rete come utilizzatori e produttori di energia elettrica.

5.4 Biomasse

5.4.1 L’utilizzazione di biomasse è la più antica forma di produzione di energia: è quello che si fa quando si accende un fuoco di legna, o con qualsiasi altro combustibile naturale. In realtà, esisterebbero molte altre possibilità di impiego di biomasse, ma sono tutte legate ad attività marginali, e quelle che possono contare sul bilancio energetico sono quelle legate all’utilizzazione di residui agricoli, compreso l’allevamento, e forestali.

5.4.2 Dal punto di vista delle emissioni di gas serra, l’utilizzo di biomasse libera nell’atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica che le piante hanno assorbito durante la loro crescita, e pertanto il bilancio delle emissioni di CO2 è neutro. Per gli altri inquinanti, valgono le stesse considerazioni che si possono fare per i combustibili fossili, a parità di energia generata. Lasciare le biomasse a degradarsi nell’ambiente è sbagliato, perché ciò comporta il rilascio di metano, che, se non captato e utilizzato, genera un impatto come gas serra molto più pesante di quello dell’equivalente anidride carbonica.

5.4.3 Dal punto di vista del bilancio del verde, è necessario porre attenzione, perché già si stanno verificando fenomeni di deforestazione per trarre profitto dall’impiego del legno come fonte di energia. È un caso analogo a quello che si è verificato negli ultimi anni per la produzione di biodiesel, che è diventato così conveniente che vi sono state dirottate ingenti quantità di cereali, portando ad una riduzione delle scorte alimentari.

5.4.4 Sulle biomasse si può chiudere senza tanti dubbi, perché se il loro impiego oculato rende un ottimo servizio al pianeta, il loro uso indiscriminato potrebbe provocare danni immensi: è quindi un settore che ha bisogno di essere regolato con molta attenzione.

6. CONCLUSIONI

6.1 Per le conclusioni pesano soprattutto aspetti esposti in 2 e in 4, che riassumo di seguito:

  • L’avvenire dell’Italia dipende molto dalla capacità di lavoro nel campo delle alte tecnologie, da interpretare da protagonisti, e non da comprimari. Le risorse intellettuali non mancano: si tratta solo di dare loro la possibilità di dispiegarsi.
  • Il nuovo corso del nucleare civile è una grande occasione per l’industria nazionale, non come fonte di profitti immediati, ma come occasione di investimento in tecnologie avanzate, per colmare il ritardo che abbiamo accumulato.
  • Il nuovo corso del nucleare civile è una grande occasione anche per la rinascita di una classe di tecnici in grado di incidere sul sistema Paese, che possano contribuire ad una più corretta distribuzione del potere, che ne tolga al Paese dell’improvvisazione e dell’eterna emergenza, per attribuirne ai gestori di sistemi complessi.
  • C’è in Italia una crisi di fiducia nelle grandi opere, nella loro realizzazione e nella conduzione degli impianti. Tale crisi è motivata da abitudini e comportamenti che hanno minato la fiducia, ed il recupero non è facile. Le costruzioni e l’esercizio di impianti nucleari sono per loro natura male accetti, e nella presente situazione difficilmente collocabili.
  • In Italia non esiste ancora una agenzia per la sicurezza nucleare, e si dovrà crearla. Inoltre, è essenziale che il committente possegga una propria efficace struttura di controllo, per la verifica continua delle costruzioni e dell’esercizio degli impianti.
  • Gli investimenti nel nucleare civile sono imponenti: se si sbaglia il progetto, o più semplicemente si arriva in ritardo rispetto ai programmi, ci possono essere ripercussioni economico/finanziarie disastrose.

6.2 La crisi di fiducia nelle grandi opere, nella loro costruzione e nella loro gestione richiedono un supplemento di motivazione e tutte le garanzie del caso. Per ottenere queste garanzie occorre rifondare una classe dirigente dotata di cultura tecnica non improvvisata. Non possiamo permetterci di ritardare ulteriormente la rinascita di una nuova classe di tecnici, e per questo è necessario crearne le opportunità. La costruzione di un numero limitato di impianti nucleari non risolve il problema energetico, né può seriamente influire sulla creazione di ricchezza in Italia, ma può contribuire alla creazione di una nuova classe di tecnici e può servire da impulso per le aziende votate più all’investimento in sapere che al profitto immediato e da occasione per il recupero della fiducia perduta. Nel frattempo non deve assorbire tutte le risorse disponibili, perché il numero di posti di lavoro creati sarebbe del tutto insufficiente alle attuali necessità.

6.3 D’altra parte, le scadenze che sono state indicate a livello governativo hanno valenza prevalentemente propagandistica: il tempo per la progettazione e per la preparazione del personale, quello necessario per trasmettere motivazioni, fornire garanzie e raccogliere consensi e quello che serve per essere in grado di investire tutte le risorse necessarie è molto più lungo di quelli proposti. Inoltre, non bisogna dimenticare che l’Italia ha bisogno di molte altre infrastrutture: centrali elettriche di diversa tipologia, ma anche ferrovie, porti e aeroporti, acquedotti, ospedali, scuole, inceneritori, discariche, che possono tutte essere banco di prova di un sistema di progettazione, costruzione, gestione e controllo. Se sono fatte come dico io, anche a casa mia.

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