Alcuni brani del libro di Claudio Magris,
con qualche considerazione del sottoscritto
32: Interrogarsi sull’Europa significa, oggi, interrogarsi anche sul proprio rapporto con la Germania.
Vero, non se ne può prescindere. Ma l’autore, che ama appassionatamente la cultura tedesca, non fa sconti alla Germania, e mette sulla bilancia tutto quel che si deve. Mi fa ricordare quella volta del 2003: ero in Bulgaria, quando il Berlusca insultò un deputato tedesco, e io mi sentii in dovere di prenderne le distanze con i colleghi tedeschi che lavoravano allo stesso progetto. Magris non si stanca di cercare tracce tedesche in tutte le terre che visita, fino alla Romania, e ne analizza le letterature. Così, quando parla del Banato, mette in gran risalto la componente sassone e quella sveva della popolazione, che pure vede Ungheresi e Romeni numericamente prevalenti.
46: L’identità è una ricerca sempre aperta e anche l’ossessiva difesa delle origini può essere talora una regressiva schiavitù quanto, in altre circostanze, la complice resa allo sradicamento.
L’argomento su cui si innesta questa osservazione è quello degli ultimi baluardi dell’Impero Romano, i grandi generali barbari che lo difendevano da altri barbari, in un continente in cui, ormai, le stirpi si erano mescolate. Ricorda Amado, e Pedro Anchanjo, e offre una lettura di uno dei principali problemi odierni con accenti di una modernità addirittura sconcertante.
64: Qui (a Ulm) il Danubio è giovane e l’Austria è ancora lontana, ma evidentemente il fiume è già un sinuoso maestro d’ironia, di quell’ironia che ha reso grande la civiltà mitteleuropea e che era l’arte di aggirare obliquamente la propria aridità e dar scacco alla propria debolezza.
Qui si va nel difficile, perché occorre la conoscenza profonda di Magris per condurre questa analisi, ma viene anche da pensare che si debba anche capire cosa s’intende per Mitteleuropa, se quella danubiana possa riassumere in sé tanto quella balcanica, quanto quella germanica, che al profano sembrano così diverse. Ma: L’austriacità è arte della fuga, vagabondaggio, amore della sosta nell’attesa di una patria che, come dice il viandante di Schubert, è sempre cercata, presagita e mai conosciuta, come scrive a pag 239, e come ricorre frequentemente lungo tutto il testo: una identità resa inevitabilmente difficile dalla complessità etnica dell’Impero asburgico trova soluzione nella leggerezza con cui gli Imperatori di Vienna cercavano di governare i loro vasti domini. Questa indicazione fa a pugni con le nostre reminiscenza risorgimentali, ma credo che sia giusta. Inoltre, la linea chiusa che Magris disegna costituisce per molti, compreso il sottoscritto, un ardito disegno, ma la storia è con lui.
77: Il Sonderling, personaggio solitario, è soprattutto una figura dell’interiorità tedesca, della sua scissione fra etica e politica, che ha per esempio permesso la resistenza morale di tante coscienze al nazismo, ma, forse, ha contribuito a inceppare una resistenza politica organizzata. 81: Fra i delitti del nazismo v’è anche la perversione dell’interiorità tedesca.
Questo è sicuramente un attributo germanico, che non riguarda l’insieme dei popoli danubiani. Tale dicotomia tra il sentire etico e l’agire politico può invece valere per altri, e forse anche per gli Italiani, quando sono stati chiamati a farsi carico dei propri problemi in quanto comunità nazionale. Sarà bene ricordarcelo, per non trovarci disarmati di fronte alla difficoltà di una resistenza civile. I deboli devono imparare a far paura ai forti, dice a pag. 236.
89-90: Le osservazioni di Grillpanzer su Napoleone (un parvenu che esercita il potere in nome di uno sfrenato egocentrismo) sono un’espressione esemplare di questo spirito austriaco, pre- e post-moderno, che vede la modernità travolgere l’argine simbolico della tradizione, rappresentato dal Danubio.
Purtroppo, non sapevo niente di questo drammaturgo viennese, e ora, del resto, ora ne conosco solo le notizie che ne dà Magris e quelle rintracciabili su una buona enciclopedia. Il richiamo dello scrittore triestino a Franz Grillpanzer come interprete fedele dell’anima viennese e precursore di Robert Musil ne indica l’importanza e fa nascere il desiderio di conoscerlo meglio. Ma anche Joseph Roth parla di Napoleone, l’ansia di fare tutto subito, contrapposto alla flemma dei personaggi di Dostoevskij e, con Grillpanzer, vi contrappone l’immobilismo di talune fasi dell’Impero asburgico, e si capisce da che parte sta. È tutto molto intrigante, e se altri potrebbero infischiarsene tranquillamente, io me ne infischio degli altri.
101: Chi scrive una pagina e mezz’ora dopo, aspettando il tram, s’accorge di non capire niente, neanche ciò che ha scritto, impara a riconoscere la propria piccolezza e capisce, pensando alla propria pagina, che ognuno prende le proprie elucubrazioni per il centro dell’universo ma, appunto, ognuno.
Sì. E non serve altro.
103: Il kitsch del male.
È il semplice titolo del paragrafo in cui parla di Josef Mengele e dei suoi esperimenti, ma anche di quante altre efferatezze sono state nascoste da questo apogeo dell’infamia, perché ad essa non paragonabili, ma tuttavia inumane, come sganciare un’atomica o appropriarsi di denaro destinato alla sanità. Questo titolo ricorda quello di Hannah Arendt, La banalità del male, e non credo che sia un caso.
112: Le vittime spianano talora la strada ai loro prevaricatori, non certo perciò meno colpevoli.
Quanti esempi di ciò! E come sono bravi, quei prevaricatori, a far apparire le vittime come veri colpevoli! Che fare, allora, per batterli? Rigore! Progettualità! Ragionare come un ingegnere nucleare: e se …? E da questo far discendere il proprio dire e il proprio fare.
130: Il desiderio di marciare con i tempi, e di fondersi nel loro corteo, è la regressiva e fascinosa nostalgia di liberarsi da ogni scelta e da ogni conflitto, cioè dalla libertà.
Scelta e conflitto sono insiti nella libertà, che non esiste senza di essi. Il conformismo è reazionario, non conservatore.
133: … Franz Josef Strauss … dal punto di vista fisiognomico ha tutte le carte in regola per emergere col suo vitale e straripante impasto di sudore, straordinario fiuto politico, che fa di lui un leader di vedute internazionali, volgarità, energia e demagogia plebeo-reazionaria.
Ma guarda un po’!
177: Il livore dell’aristocrazia di corte contro Francesco Ferdinando rivela la volgarità di ogni gruppo sociale che si ritiene un élite e crede di escludere gli altri, mentre è esso che si chiude fuori del mondo ….
Una storia che si ripete, ma stavolta coinvolge non un piccolo gruppo, ma una ben più vasta classe di persone. Per questo è oggi così difficile stabilire chi sia élite e perché lo sia, come pure è estremamente difficile indicare i confini.
182: i grandi umoristi e i grandi comici, da Cervantes a Sterne o a Buster Keaton, fanno ridere della miseria umana perché la scorgono anche e in primo luogo in se stessi … la vera letteratura non è quella che lusinga il lettore, confermandolo nei suoi pregiudizi e nelle sue sicurezze, bensì quella che lo incalza e lo pone in difficoltà.
È una feroce invettiva contro l’industria editoriale, che si basa proprio sulla negazione di quanto dice l’autore, e contro tutto quel che è maniera. Per conformarsi a questo dettato, non basta la cultura e non basta il talento, occorrono entrambi, e occorre anche una gran voglia di continuare sempre a studiare e ad approfondire.
186: Così, in questo atlante personale della regione pontico-pannonica, come la chiamano gli zoologi, si registrano soltanto gli ultimi arrivati, così temerari, direbbe Faulkner, da ritenersi i padroni della foresta.
Si riferisce a quella zona pianeggiante in cui il Danubio si allargava in aree palustri e ora corre regimato dal lavoro dell’uomo, e gli ultimi arrivati siamo, in senso lato, noi, gli umani moderni. Ma prima di noi, ci sono stati altri abitatori, non solo bipedi, ma anche di ogni altra classe, regno e dominio. Ha perfettamente ragione a definire temerari questi recenti intrusi, ma non si può non pensare ai guai che sono stati combinati quando si è trattato, nella storia, di scegliere tra i diritti degli antichi abitatori e quelli di chi è arrivato dopo, ma l’autore va avanti con la contraddizione tra la difesa della natura e l’impossibilità di salvaguardare la vita umana senza sacrificare quella di altri esseri viventi, dagli archei fino agli animali. Del resto, il naturalista sa bene che ogni specie lotta per sopravvivere, ma non può considerare lecita ogni forma di lotta, per non cadere nella giustificazione di ogni sopraffazione.
198: La civiltà austriaca, che ha aspirato alla totalità perfetta, all’unità armoniosa e compiuta della vita, ha messo in luce i pezzi che sempre mancano per chiudere il cerchio ….
È come definire qualcosa attraverso i vuoti, con quello che ancora manca al raggiungimento della perfezione. Da un lato, è come dire “so che mi manca ancora qualcosa”, dall’altro, vuol dire “mi manca solo qualcosa, e poi sono perfetto”. È un atteggiamento modesto, o è invece un atteggiamento presuntuoso? Il bicchiere è mezzo vuoto, o mezzo pieno? Pur conoscendo poco i Viennesi, propendo decisamente per la seconda ipotesi.
208: Passeggiando fra questi trofei di vittoria che sono anche relitti di un naufragio, il visitatore si sente figlio ed erede di una storia unitaria nei suoi frammenti, pur dispersi come oggetti di un campo saccheggiato. … In diverse città della Germania e di altri paesi, le classi scolastiche si spopolano di bambini tedeschi e si riempiono di bambini turchi. … È possibile che s’avvicini il momento in cui le diversità storiche, sociali e culturali, mostrino violentemente le difficoltà della convivenza; …
Si parte quindi dall’assedio turco a Vienna per parlare della presenza turca in Germania e in Austria. Ricordando che questo libro è del 1986, non si può pensare che sia ingenuo, ma che invece abbia capito già allora cosa sarebbe successo nei decenni successivi. La conclusione auspica che non ci siano ulteriori lotte cruente, memori come dovremmo essere che i nemici di un tempo diventano poi alleati, e viceversa, come mille volte è accaduto nella storia, e come sia perciò possibile compiere decisivi passi in avanti verso la pace duratura, magari affidandosi ai giochi dei bambini.
234: I flutti della storia, per decenni, lo sballottavano, ma finivano sempre per portarlo, casualmente, al sicuro e in alto.
Straordinario e divertente è il ricordo di zio Ottone, transitato dalla monarchia asburgica all’Italia repubblicana, come Degasperi, ma evitando più abilmente di lui il fascismo e il nazismo.
240: In quella scritta retorica commuove il “Dr.”, quel Doktor echeggiante di accademica dignità, di studi severi e compiuti non senza orgoglio.
La scritta è quella della lapide che ricorda Sigmund Freud sulla Himmelstrasse di Vienna: la fierezza degli studi compiuti, purtroppo, non è più merce spendibile. Se sia un bene o un male, ce lo dirà il futuro, anzi, lo dirà ai nostri eredi. Personalmente, quando Piera mi dice che un ingegnere è per sempre, mi fa piacere, perché la mentalità dell’ingegnere come la descriveva Lucio Lazzarino mi solletica ancora.
247: … la persona è costituita dai valori in cui essa crede, che stampano nel suo volto l’impronta della sua nobiltà o della sua volgarità … e il valore di ciascuno è in stretto rapporto col valore delle cose alle quali ha dato importanza.
Così riporta l’autore, parlando dell’imperatore Marco Aurelio, che in luoghi danubiani dimorò e scrisse queste parole, intuizione fulminea della natura umana, e infine vi morì. È un ritratto bellissimo, in cui si può riconoscere chiunque sia sincero con se stesso.
255: Castelli e drevenice.
È il capitolo dedicato a Bratislava e alla Slovacchia, nel cui titolo contrappone i castelli, presenti in gran numero, alle miserevoli abitazioni dei contadini slovacchi fino a pochi decenni fa. L’autore mostra un particolare sentimento di solidarietà per il popolo della Slovacchia, che è stato costantemente soggiogato da altri, ma soprattutto dagli Ungheresi, padroni di questi luoghi fino al 1918, in spregio a un’anima slava che ha visto gli slovacchi sempre in prima fila nelle rivendicazioni della propria identità e autonomia. Sembra di sentir parlare delle popolazioni di confine dell’Italia durante il fascismo, o delle popolazioni baltiche durante la dominazione russa. Non ci si può stupire, allora, che pochi anni dopo la pubblicazione di questo libro, la Slovacchia abbia voluto staccarsi anche dalla Repubblica Ceca, per cercare riscatto in una non facile indipendenza.
284: … periodizzazioni ideologiche inventate dalla storiografia occidentale ….
Accidenti se è vero! La suddivisione tra evo antico, medioevo, età moderna e contemporanea si basa sulla storia di assai pochi popoli, e ne trascura tanti. Chissà quale suddivisione applicano gli storici orientali, e quanto ci si riconoscono quelli africani e americani. In fin dei conti, l’Impero Romano conosceva l’esistenza della Cina perché da là veniva la seta, e dell’Africa conosceva solo le sponde sul Mediterraneo e una parte della valle del Nilo. Per trovare nella nostra storia tracce sostanziali dell’Oriente bisogna aspettare Marco Polo, e le Americhe vi entrano solo dopo Colombo, ma quei popoli avevano già millenni dietro di sé, una storia in qualche caso più antica della nostra. Ora, l’eurocentrismo di origine coloniale sta tramontando non senza tristezza di noi europei e nell’indifferenza di tutti gli altri.
287: Lo stato sembra voler far dimenticare la politica o almeno attenuarne l’ingerenza, attutire e rallentare le trasformazioni, convincere i suoi sudditi che i cambiamenti avvengono a tempi lunghi, e sono quindi avvertibili dalle generazioni, più che dagli individui, e lasciare sussistere più a lungo possibile le cose così come sono, i sentimenti, le passioni, le memorie.
Questo stato è la duplice monarchia, che lascia sopravvivere le culture locali, senza imporre un centralismo come quello di Luigi XIV, con il quale un impero così eterogeneo non avrebbe potuto durare così a lungo. D’altra parte, anche l’impero Romano era così. Gli stati centralisti, se non sono sorretti da una solida omogeneità culturale, non possono durare.
292: … è uno dei tanti esempi del trasformismo che caratterizza la politica ungherese degli ultimi decenni e che ha ben poco a che vedere con l’opportunismo.
È uno strano connubio che però non è disgiunto dall’indicazione secondo cui la vera scorciatoia può essere talvolta la via apparentemente più lunga. E si potrebbe aggiungere che a volte i punti deboli possono talora rivelarsi punti di forza, perché il futuro rimane sempre insondabile. Ma secondo l’autore, la politica ungherese ha sempre mantenuto un che si asburgico, con il richiamo a una unità nella diversità che ha funzionato a lungo, ma che da molti anni attraversa una fase in cui viene calpestata.
325: Nell’autunno del 1956 si sgretolava e andava in pezzi l’ordine europeo di Yalta; l’immensa fatica del potere per tenerlo insieme mostrava all’improvviso il suo costo altissimo.
L’autore descrive questo capitolo di storia attraverso le cronache di Cavallari sul Corriere delle Sera, mettendo in risalto le contraddizioni che si palesarono all’interno dello stato e del popolo ungherese, con la maggior rabbia e l’onere più grave sulle spalle della classe operaia. Ci sarà da riflettere ancora su questi aspetti, per non cadere ancora nelle stesse trappole tese dal potere.
326: Chi narra una storia racconta il mondo, che contiene pure lui stesso; l’azzardato narratore che ritrae due occhi scuri … incontra in quelle acque brune tutto ciò che si riflette nel loro specchio, anche il suo viso ansioso che le scruta.
È allo stesso tempo una lode elevata alla letteratura e l’indicazione di un limite insito nell’incapacità dello scrittore di rendersi conto di essere narrato e narrante allo stesso tempo, ma ci sono grandi eccezioni a questa incapacità, mica solo Dante.
347: Una vasta parte del vecchio Banato storico, che non per nulla portava il nome di Banato di Temesvar, si trova oggi in Romania e la sua capitale è infatti Temesvar ovvero Timisoara.
E chi lo conosceva il Banato? Le regioni degli altri stati sono note ai più solo per sentito dire, incapaci perciò di indicarle sulla carta geografica. E invece, l’autore ricorda che il Banato è un mosaico di popoli, una sovrapposizione e stratificazione di genti, di poteri, di giurisdizioni. Tra le quali non tardano a evidenziarsi le componenti tedesche, che vivono qui da molti secoli, richiamate da varie autorità per trapiantare qui il rigore e l’intraprendenza, con risultati contrastanti: mentre gli svevi si sono integrati, diventando talvolta più magiari dei Magiari, i sassoni mantengono salda la loro identità nazionale.
350: In questi assurdi preconcetti c’è forse un pizzico di verità, perché nessun popolo, nessuna cultura – come nessun individuo – sono privi di colpe storiche. Rendersi impietosamente conto dei difetti e delle oscurità di tutti, e di se stessi, può essere una proficua premessa di convivenza civile e tollerante, forse più degli ottimistici attestati di lode elargiti da ogni dichiarazione politica ufficiale.
Il riferimento è all’antisemitismo endemico in tante parti d’Europa, ma, più che altrove, dove l’Impero asburgico si scontrava con l’Impero russo. C’è molto da imparare da Magris.
355: con l’entusiasmo spesso troppo facile del poeta d’avanguardia, egli canta la libertà di questa nuova generazione, ma quell’assenza di memoria e di consapevolezza del conflitto morale fa assomigliare quei figli a una folla al di qua del bene e del male, amorfa e incolore, senza peccato e senza felicità, innocente e vacua.
Magris, citando il poeta ungherese Popa, insiste sull’importanza del conflitto, necessario per crescere al pari di un Edipo, ma bisogna fare attenzione a riportare nel presente queste frasi, perché oggi il conflitto è banalizzato, e non porta con sé alcun crescita. Chissà se sarà possibile uscire da questa palude.
361: Lo scrittore romeno-tedesco, minacciato da vicino, vive quegli spaesamenti, quelle duplicità e quelle crisi d’identità che stimolano la poesia.
È la situazione di chiunque si trovi a nascere e vivere in un paese che non considera suo, ma che non può lasciare, perché il suo paese non è più quello in cui ha avuto la sua origine, e continua perciò a immaginare un paese che non esiste più. Naturalmente, non vale solo per lo scrittore e il poeta, ma anche per tutti gli altri, e mi viene da pensare ai tanti zii d’America di noi Italiani, che tornano solo se costretti e trovano comunque un paese che somiglia di più alla loro America, cha alla loro Italia.
366: Ma per la letteratura può essere anche un vantaggio scrivere per nessuno, ora che dovunque l’organizzazione culturale pretende, falsamente, di rappresentare tutti.
Direi che è l’industria culturale a pretendere di rappresentare tutti, e con questo si condanna a essere transeunte, perché la ricerca del profitto la porta spesso a ricalcare schemi noti e a perdere di vista tutto quello che può esserci di innovazione e, perciò, di vera cultura.
369: Ci si può sottrarre all’orrida vita vera, come il vecchione di Svevo, mettendola sulla carta e tenendola quindi a distanza.
Invece, credo che si possa scrivere anche per cantare la fede in mille vite vere e confrontarle con altrettante morti tristi. Le scene sono molte, e si tratta di scegliere quelle giuste.
372: Il popolo tedesco è grande perché non vuole affermare soltanto se stesso, come le piccole stirpi che non vedono oltre la propria cerchia ristretta, bensì idee e valori universali, ciò che è grande e ciò che è giusto per tutti.
Questo scrive Zillich nel 1937. Purtroppo, anche qui si può dire che c’è forse un pizzico di verità, ma nessun popolo, nessuna cultura sono privi di colpe storiche, e i Tedeschi ne hanno accumulate alcune mostruose, come l’Iprite e lo Zyklon B, e allora facciamo attenzione a queste superiorità, chiunque sia a sbandierarle.
384: A muoverli era forse una viltà più grande, un oscuro desiderio di connivenza, di primeggiare, di dare il la e il tono al dibattito culturale. Possono dire di avere raggiunto il loro scopo, un invidiabile record.
Si parla di Gorki e Malraux, che esprimono giudizi negativi su Fedor Dostoevskij per non dispiacere a Stalin. Sembra un tentativo di applicare la sindrome di Stoccolma in un ambito più alto di quello della delinquenza, perché i due, vista la loro statura, non rischiavano niente: neppure Stalin si sarebbe sognato di abbattere i loro piedistalli.
391: il Maresciallo Tito ha finito per assomigliare sempre più a Francesco Giuseppe, e non certo per aver militato sotto le sue bandiere nella prima guerra mondiale, bensì per la consapevolezza o il desiderio di raccoglierne un’eredità – e una leadership – sovranazionale danubiana.
Magris si sofferma, nel 1986, sulla precarietà della Jugoslavia, mosaico di popoli, che ha un ruolo di primo piano nella politica internazionale, ma è sempre alle prese con la propria instabilità interna. Dice Magris che la stabilità della Jugoslavia è necessaria per la pace in Europa, ma non poteva prevedere che sarebbe stato il crollo dell’Unione Sovietica a cambiare il corso degli eventi e a far riesplodere una polveriera mai disinnescata.
402: Chi ha visto le strade di Sarajevo e del suo bazar, pulite come uno specchio, o il lindo ordine di Sofia e li paragona a città o stati citati per antonomasia quali modelli di civiltà, è incline a usare il termine “balcanico” come un complimento, così come altri usano dire “scandinavo”.
Questo è l’amore dell’autore per questi luoghi, che gli impone di contestare il termine balcanico e balcanizzazione in senso negativo. Ci sarebbero anche altri esempi, ma ce ne sono, purtroppo, anche di segno opposto. Anche a pag. 432 se ne ha un caso.
411: Finché si raccontano delle favole, la vita non muore: i racconti di Čercazki sono nascosti fra le case e gli attrezzi da lavoro, la scure piantata nel legno e la secchia nel pozzo, e sono anche le cose a sussurrarli e a metterli in giro.
È l’accorata lode della letteratura più popolare, quella che deve molto alla tradizione orale che alcuni popoli coltivano ancora. L’autore si riferisce alla Bulgaria e al suo scrittore più popolare, Radičkov.
418: Se c’è una cosa che non posso sopportare, diceva Victor Hugo quando assisteva a qualcosa di particolarmente stupido e cattivo, è pensare che tutto questo domani sarà storia.
La citazione riguarda la stupida abitudine di lasciare la propria firma, o altro, sui monumenti visitati, il teppismo smanioso d’immortalità, dice Magris, osservando che anche celebri viaggiatori lo hanno fatto, Lord Byron, ad esempio. Nel caso degli affreschi di scuola bizantina a Ivanovo, in Bulgaria, il tempo ha redento i vandali, e ora i graffiti tracciati nel XVIII secolo sono protetti come gli affreschi stessi.
427: Il grande storico Nicola Iorga si addentrava, per ricostruire il cammino completo del suo paese e della sua civiltà, nelle profondità impenetrabili della vita popolare che non hanno lasciato memoria di sé nelle fonti scritte.
È un metodo difforme da quelli della storiografia classica, ma potrebbe tuttavia essere foriero di nuove e importanti conoscenze, quindi molto interessante, sia in linguistica, sia nella religione e in altro ancora.
432: Nei paesi arretrati, semicapitalisti, osservava il marxista Gherea, le forme sociali, all’opposto di quanto avviene nei paesi economicamente e politicamente sviluppati, precedono il fondo sociale e rimangono perciò deboli e precarie sovrastrutture.
E questo è confermato dal fallimento di qualsiasi tentativo di esportazione, o imposizione, di modelli, come abbiamo visto nel corso della storia: in tempi lunghi, il fondo sociale precedente ha preso il sopravvento.
441: La letteratura è una slot machine; la vita e la storia le infilano dentro una pioggia di eventi, la luce irripetibile di una sera, pasticci sentimentali o guerre mondiali, ma non si può mai sapere che cosa ne verrà fuori.
Indubbiamente, la letteratura e i suoi frutti sono largamente indipendenti dagli argomenti trattati: da un niente può uscire tutto, e da tutto un niente. Vale anche per altre forme dell’arte, forse per tutte le arti, ciascuna a modo suo. Questo vale per la grande letteratura e, forse ancora di più, per quella che grande non è, ma si annida tra le pieghe dell’arte popolare, che trae sempre origine da piccoli eventi.
442: Ma il tempo non può essere più galantuomo e riscoprire il messaggio al di là del medium. Oggi i media sono il messaggio, cambiano e cancellano la storia, come fa il Grande Fratello in 1984 di Orwell. L’industria culturale ha distrutto i posteri; non ci saranno revisioni dei trionfi presenti.
Chissà se Magris, 33 anni dopo, la pensa ancora così. L’industria culturale crea i suoi miti e innalza loro i suoi monumenti, ma non sappiamo ancora quanto possa essere in grado di farli durare, un anno, un secolo o un millennio, se dietro non c’è qualcosa di intrinsecamente duraturo.