La figlia unica

Romanzo di Abraham B. Yehoshua

Rachele è l’unica figlia dei suoi genitori e l’unica nipote dei suoi nonni. Vive nel nord Italia e, lei ebrea, frequenta la scuola pubblica insieme a ragazzi prevalentemente cattolici. E questi due aspetti sono la quintessenza della sua vita: i rapporti con la sua famiglia da un lato, e quelli con un ambiente di non ebrei dall’altro. In questo quadro si inserisce la malattia del padre, che si capisce subito essere molto grave.

C’è un aspetto intrigante nel rifiuto del padre di Rachele a permettere alla figlia di interpretare il ruolo di Maria nella recita natalizia della scuola: ma allora, chi è che non vuole l’omologazione? Perché l’omologazione è un passo ulteriore rispetto all’integrazione, e se questa è ormai acquisita per gli ebrei italiani, l’omologazione non c’è, evidentemente, e non è chiaro chi sia a non volerla. Chissà che questo dubbio non l’abbia anche ABY.

La parte più bella, secondo me, è quella del viaggio in motocicletta del padre con la figlia, che vanno a vedere il paese di montagna dove la signora Leah, rifugiatasi tra le montagne per sfuggire alla caccia dei nazisti, ha partorito il padre di Rachele, e qui trovano un vecchio nazista che ha ospitato l’ebrea incinta per puro ed egoistico opportunismo.

Non mi pare l’opera migliore di ABY, forse proprio perché da lui ci aspettiamo che parli della società israeliana, e questo salto in un altro paese e in un altro continente ci spiazza un po’: difficile, insomma, dire se dipenda da lui o da noi.

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