La sanità al tempo del coronavirus

Saggio di Marco Geddes da Filicaia

Il dottor Marco Geddes da Filicaia, insigne medico e dirigente sanitario, ma anche autore di vari libri in cui espone le sue idee sulla sanità, fa in questo volume (Il Pensiero Scientifico Editore, 220 pp, 22 €) una attenta analisi della prima fase dell’epidemia di CoViD 19 in Italia e nel mondo, e ne fa discendere alcune indicazioni di grande interesse. Il fatto che il libro si fermi al 30 giugno 2020 non inficia minimamente la sua validità, in quanto quel che è avvenuto nel secondo semestre dell’anno scorso ha confermato in larghissima misura quanto già emerso nel primo, e c’è stata una certa differenza solo nella maggiore disponibilità di presidi medicali e di esperienza maturata sul campo anche per merito del personale sanitario che sul campo è caduto. Per quanto concerne il modo di affrontare il problema in generale da parte della politica e delle Istituzioni, non ci sono stati cambiamenti rilevanti, con la solita ritrosia delle autorità a chiudere quel che andava chiuso, solo applicata in modo diverso.

Ma vediamo le idee principali e alcuni punti salienti:

  • Le origini dell’epidemia: su questo, il dottore non ha dubbi. “Stiamo sbriciolando gli ecosistemi”, lo abbiamo sempre fatto, ma oggi lo facciamo a un ritmo diverso; il risultato è che organismi che se ne stavano tranquilli relativamente lontani da noi, improvvisamente vedono l’occasione per espandere il loro territorio, procurarsi nuove opportunità di riprodursi e non mancano di coglierla. Sarà necessaria una completa riconversione del sistema di utilizzo delle risorse naturali per evitare altre catastrofi che potrebbero essere anche assai peggiori di quella presente.
  • La produzione nazionale dei presidi: quando ci siamo trovati nella necessità di servirsi di guanti e mascherine ci siamo accorti che non c’erano, perché avevamo abbandonato queste produzioni poco redditizie, trovando più conveniente demandarle ad altri. Ora che diventava impossibile contare sui produttori dell’estremo oriente, ci siamo accorti dell’errore: abbiamo sbagliato a lasciare completamente ad altri la produzione di ciò che è o può diventare strategico, e dobbiamo riconsiderare questo capitolo della nostra industria.
  • La struttura fisica degli ospedali: il dottor Geddes parla della proposta degli ospedali “a fisarmonica”, in cui i locali possano essere divisi o uniti, secondo le esigenze del momento, ma l’elemento guida è piuttosto quello degli impianti. Secondo lui, tutti i locali dovrebbero essere dotati degli impianti medicali e non (impianto elettrico, ossigeno, vuoto, pressione positiva o negativa ecc.) in maniera che ogni locale, all’occorrenza, possa essere convertito a degenza anche per malattie infettive e, con poche qualificate aggiunte, anche in stanze di terapia intensiva. Quella dell’ospedale facilmente modificabile è un punto fondamentale, come pure un sistema che differenzi aree e percorsi in caso di epidemia. Occorre anche superare il problema della manutenzione delle apparecchiature medicali, che rappresenta ora un pesante collo di bottiglia.
  • La struttura organizzativa degli ospedali: che Dio ci scampi da un ritorno al passato! La struttura organizzativa a livelli d’intensità è fondamentale, e lo sarà ancora di più in futuro, e sarà invece necessario andare ancor più in questa direzione, separando le degenze più prolungate e non bisognose di particolare intensità di cura indirizzandole in altre sedi, per esempio quelle delle case della salute e dei piccoli ospedali, una volta che fossero stati attrezzati per questi scopi.
  • La medicina territoriale: le carenze della medicina sul territorio sono state decisive nel dilagare dell’epidemia. Medicina sul territorio che è fatta di medici di base, o di famiglia, che facciano essi stessi prelievi, analisi, vaccini ecc., come avviene in altri Paesi; case della salute, o consultori, dove si disponga di quel che serve per la maggior parte delle diagnosi; centri di primo soccorso qualora l’ospedale manchi o sia eccessivamente lontano. E poi, le farmacie: non dovranno più essere semplici esercizi dove si commerciano farmaci, ma, come dice anche certa pubblicità, luoghi ove si esercita la salute.
  • La struttura del sistema produttivo: già si è detto dell’errore di aver demandato ad altri la produzione di manufatti che possono diventare strategici, ma c’è dell’altro da dire. Nel 20° secolo c’era il modello sovietico dell’economia programmata a livello centrale; accadeva che quel che non era programmato di rendere disponibile veniva inevitabilmente a mancare, e spesso mancava anche quel che era stato programmato, in questo caso per carenze infrastrutturali o logistiche. Oggi, nel 21° secolo, la programmazione è realizzata dai produttori, che la articolano in funzione di un unico parametro: il profitto lauto e immediato. In queste condizioni, assistiamo all’abbandono non solo delle produzioni meno redditizie, ma anche della ricerca nei settori che non promettono ritorni rapidi dei capitali investiti. È evidente quanto una terza via sia necessaria per superare tali contraddizioni, e nell’attesa di qualcuno che sappia individuarla e portarla a compimento, la proposta di Marco Geddes, realizzare un CERN della ricerca in campo medico, appare come un faro nella nebbia. Tale centro di ricerca, finanziato da un consorzio di Paesi, dovrebbe effettuare ricerca nei settori a cui le case farmaceutiche non sono interessate, come per esempio i nuovi antibiotici, ma anche molti vaccini e terapie antitumorali che richiedano tempi di studio ed elaborazione particolarmente lunghi. È un’iniziativa che può aprire molte porte per la salute delle future generazioni e che merita di essere intrapresa.

Insomma, il dottor Geddes non si limita, in questo libro, a riassumere la storia della prima fase dell’epidemia di CoViD 19 e delle opinioni delle comari di casa nostra: va ben oltre, e offre indicazioni che potrebbero avere portata storica.

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