L’animale che mi porto dentro

Un libro che mi lascia perplesso, nel quale non mi riconosco. Naturalmente, non so neppure se ci si riconosca l’autore, in fin dei conti è un romanzo, ma mi piacerebbe saperlo. L’animale di cui parla il titolo è quello delle pulsioni di un maschio che Piccolo definisce provinciale e meridionale, un maschio pubblico obbligato a comportarsi secondo determinati stereotipi, contrapposto a un individuo che aspira a essere mite, civile e persino romantico. La sua conclusione è che questo animale non può morire e che continuerà a riaffacciarsi comunque, qualunque sia il percorso della sua vita. Si risveglierà sempre quella bestia che lo costringe a essere sessualmente iperattivo e a far valere le proprie ragioni anche quando non sono ragioni, e sempre con atteggiamenti da dittatorello. Forse, sarà anche per i sartanici e i betabloccanti che assumo ogni giorno, ma anche prima che dovessi incominciare queste terapie non sono mai stato un collezionista di donne, e non mi sono mai vantato di farne tre di fila: chissà se sono regola o eccezione. Certo, anch’io a volte mi arrabbio e trascendo, alzo la voce e dico male parole, ma questo è un comportamento che non ha genere, è semplicemente umano. Semmai, devo dire che non ho mai avuto il desiderio di essere simile agli altri e di voler sempre competere, o almeno, non ce l’ho più da almeno 50 anni, e sono sempre stato fiero di far parte di una minoranza. Anche questo atteggiamento, in fin dei conti, è una posa, ma almeno è innocua per gli altri. Due punti interessanti, a pag. 54 e a pag. 192:

“Riguarda la questione affrontata di continuo in questi anni, degli uomini che non saprebbero fare due cose contemporaneamente, come parlare e leggere un messaggio al cellulare. È vero che non sappiamo farlo, ma non perché non possiamo avere due pensieri paralleli; anzi, il nostro cervello è già impegnato con due pensieri paralleli: chiacchierare e immaginare evoluzioni erotiche. Quindi il messaggio da leggere sarebbe una terza occupazione, ed è il motivo per cui chiediamo scusa ma dobbiamo concentrarci sul cellulare.”

“Avevo l’esigenza oltre che la voglia di vivere la mia vita, di andare avanti e ignorare qualsiasi intoppo. È quello che ho sempre fatto, e sono anche sicuro che ne morirò: morirò di una malattia che si poteva curare ma che ho trascurato. Quasi tutte le persone che si percepiscono virili, credono che la virilità sia trascurarsi, e quasi tutte muoiono così.”

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