Romanzo di Antonio Scurati
Non ho letto gli altri romanzi di questa saga, e perciò evito di generalizzare queste righe all’intera opera.
L’A. alterna la libera narrazione con la raccolta di documenti pubblici e privati, quali discorsi, relazioni, diari personali, e racconta, in questo romanzo, una ben precisa fase del regime fascista.
Si comincia con la dichiarazione di guerra contro la Francia e l’Inghilterra a cui M. è giunto dopo quasi un anno di incertezza: ora stima che la guerra sia giunta alla fine con la vittoria della Germania e, per partecipare alla spartizione del bottino, lancia l’Italia in un conflitto per il quale non è adeguatamente preparata. E lui lo sa bene.
I protagonisti della narrazione sono da un lato i gerarchi del fascismo e i generali delle forze armate italiane, e dall’altro i famigli del duce, con M. sempre più solo: la sola Claretta continua ad aver fede in lui. E lui continua a essere convinto che sarà la Germania a vincere la guerra.
Il romanzo termina con il Gran Consiglio del 24-25 luglio 1943, che decreta la caduta del regime. Dalla rinnovata alternanza di narrazione e documenti, traspare il grande lavoro di documentazione svolto dall’A.
Preso atto della mole di lavoro dell’A., non si può tacere di alcune mancanze che non so se siano o saranno colmate dagli altri libri dell’opera complessiva, precedenti e successivi. Fra queste, vanno citate il ruolo dell’antifascismo e delle forze antifasciste e le condizioni di vita in Italia, che portarono al progressivo scollamento dal fascismo di molti Italiani, inizialmente indifferenti. Anche questo va detto: l’atteggiamento diffuso degli Italiani nei confronti del fascismo negli anni ’30 era l’indifferenza, la stessa parola che Liliana Segre ha voluto nel memoriale del Binario 21.
E’ bello, questo libro? E’ brutto? Non lo so. La voglia di leggere gli altri romanzi non mi è venuta, e credo che non mi verrà. Forse, è meglio leggere i libri degli storici veri, quali Renzo De Felice, Emilio Gentile, Denis Mack Smith, Giovanni Sabbatucci e altri ancora.
Devo aggiungere un’altra osservazione: non ho apprezzato l’uso che l’A. fa della lingua italiana. Personalmente, ho perso il conto di quanti segni rossi e blu avrei apposto su queste pagine.