Film di Pupi Avati
E’ un film con le tipiche atmosfere inquietanti di Pupi Avati. Lo abbiamo visto al multisala Isola Verde di Pisa, zona Cisanello.
In questo film, ambientato negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, ci sono numerosi viaggi di andata e ritorno non tanto fisici, quanto psicologici: l’infermiera che si presenta, scompare e se ne cercano le tracce; la sorella che cerca l’infermiera con l’intento di non trovarla; lo scrittore che da Bologna va in America, non trova quel che cerca e torna a Argenta e sulla riviera adriatica per continuare la ricerca; lo sciupafemmine che viene condannato e muore per reati che non ha commesso; il professore che ama la poesia greca e la mescola con le proprie vicende. Infine, c’è l’andata e ritorno dello scrittore fuori e dentro l’ospedale psichiatrico, con ambiente e terapie di quegli anni, un po’ edulcorate. Lo stesso ambiente permea anche la vicenda giudiziaria e il processo che si conclude con la condanna alla fucilazione.
Tutto questo viene presentato con un bianco e nero soffice e un po’ nebbioso, che ben riflette non solo le atmosfere dell’Emilia e della Romagna, ma anche quelle dell’Iowa. Alcune scene sono molto crude, e vanno oltre il mistero e il giallo, ma non si discostano dalla personalità del Pupi. Non ho avuto difficoltà a seguire la vicenda, nonostante la sua indubbia complessità.
Detto a margine, la pena di morte nello stato unitario fu abolita nel 1889 dal governo Crispi con Zanardelli ministro di Grazia e Giustizia, ma ripristinata nel 1926 dal governo Mussolini, e il ministro era Rocco, quello del codice. Fu poi definitivamente cancellata dall’ordinamento italiano nel 1948, governando De Gasperi ed essendo ministro Giuseppe Grassi.
In ultimo, si aggiunga che l’abolizione dei manicomi chiusi fu decretata solo nel 1978 in virtù della legge 180, detta erroneamente legge Franco Basaglia, il quale, invece, ne avrebbe voluta una che cancellasse ogni forma di costrizione.