Saggio di Alessandro Perissinotto
Al di là di cosa sia lo storytelling e di ogni significato che si voglia dare a tale lemma, l’A. ci tiene a dire che ci sono delle regole per raccontare qualunque storia vera o inventata in maniera efficace e interessante, ma sia ben chiaro: questo non è un manuale e non è un testo divulgativo, e il sottotitolo di questo libro (Laterza, 200pp, 18 €), invece che strategie e tecniche di storytelling, potrebbe essere cento buoni motivi per raccontare qualcosa. Il resto, è fatto soprattutto di definizioni ed esempi tratti dalla letteratura, ma anche da altre arti, considerate altri modi di raccontare. La notazione di fiction, non-fiction e para-fiction, ove per para-fiction si intende la fiction spacciata come verità, viene citata e sorpassata, concentrandosi invece sulla non-fiction e in particolare sull’indicazione secondo cui, per la massima efficacia del racconto, anche nella non-fiction si devono usare le tecniche della fiction, traendo la fabula, cioè la storia, dalla realtà, ma dotandola di un intreccio, fatto di corse avanti e indietro nel tempo, nello spazio e nelle logiche di causa ed effetto, simili a quelle del racconto d’invenzione. Mi ha colpito in particolare un punto: noi comprendiamo soprattutto in base alle nostre aspettative; la conferma o la smentita delle aspettative è il motore della comprensione. È come dice anche Rovelli in Helgoland, a proposito della visione: anche lui afferma che tutto il nostro sapere è fatto così, mediante conferma o smentita di quanto precedentemente noto. È poi molto interessante la dissertazione sulle forme del teatro di narrazione, partendo da Mistero buffo, per arrivare a Baliani e Laura Curino, passando per il Racconto del Vajont di Paolini e Vacis. Bellissima infine la conclusione lapidaria, che conferma il sottotitolo proposto: ognuno di noi ha bisogno di raccontare e di essere raccontato.