Romanzo di Jean-Marie G. Le Clézio
Questo romanzo è stato pubblicato da Gallimard nel 1992 e in Italia dal Saggiatore nel 2000 (pp. 280 e 10 € in una edizione del 2010).
L’argomento è molto interessante e importante: un popolo, gli Ebrei, in cerca di una patria perduta, e un altro popolo, quello di Palestina, che perde la sua. Viene trattato attraverso le storie parallele, che si sfiorano appena tra loro, di due ragazze, due stelle (Esther e Nejma, rispettivamente stella in ebraico e in arabo). L’una, dalla Francia dove è nata, approda in Israele; l’altra, dalla Palestina inizia una vita errabonda. L’una è reduce dalla perdita del padre, partigiano antinazista, e dalle persecuzioni; soffre un esilio in Italia e poi un periodo a Parigi anch’esso sofferto, prima di riuscire a imbarcarsi con la mamma come migranti clandestini verso una nuova patria. La stella palestinese fugge da Gerusalemme allo scoppio della guerra del ’48, con la prospettiva di un rapido rientro che poi realizza che non ci sarà. Le loro strade si sfiorano: l’una arriva a Gerusalemme quando l’altra se ne va. Esther vive e lavora in un kibbutz prima di andarsene in Canada per studiare e rientrare in Israele a svolgere la sua professione di medico. Nejma vive in un campo profughi fino a quando un’epidemia la costringe a fuggire ancora per seguire un pastore oltre il fiume, in Giordania.
Visto che l’autore ha vinto il premio Nobel per la letteratura, ci si aspetta molto, ma le aspettative vanno in larga misura deluse: tutto sembra incompiuto e, sostanzialmente, superficiale, nonostante l’argomento. Anche lo stile presenta aspetti di incompiutezza, con un continuo passare dal racconto in prima persona a quello in terza persona: così riesce a tenere desta l’attenzione, ma a lungo andare stanca. Non lo salva una mancanza di retorica che però, a tratti, sembra quasi freddezza. In definitiva, la cosa più bella è l’uso di quei due nomi, così diversi e così uguali.